Radio K55
Data di pubblicazione: 09/09/2023 alle 10:07
Cari lettori e ascoltatori di tutte le galassie, eccoci di nuovo qua. Riprendiamo le nostre riflessioni sulle Cronache Terrestri, dopo un Agosto agitato da alte temperature e tante notizie di fatti violenti, alcuni assai difficili da metabolizzare.
Un poco alla volta torneremo su quanto successo, ma per oggi ripartiamo da un punto che è stato molto dibattuto in questa estate, ovvero il tema dei cambiamenti climatici.
Nel novero della terminologia psicologica dobbiamo rilevare che da questo tema è nata una nuova definizione.
Già due anni fa la BBC ha pubblicato un sondaggio curato da AVAAZ che ha interessato 10 mila ragazzi tra i 16 e i 25 anni, scelti in 5 università, per conoscere i loro pensieri sul futuro dell’umanità. Più della metà, 56%, pensa che l’umanità sia ormai condannata all’estinzione. Poco meno della metà, 45%, pensa che già oggi la loro vita è condizionata quotidianamente dal problema ambientale. Oltre i due terzi dichiarano di provare paura, angoscia, disperazione per il loro futuro in ragione dei cambiamenti climatici.
Ma soprattutto, il dato che fa riflettere, è che più di un terzo degli intervistati, il 39%, ha dichiarato la propria riluttanza a mettere al mondo figli in questa situazione.
Già qualche anno prima, intorno al 2010, è sorto un movimento di donne che, per convinzione ecologica, ha scelto di rinunciare alla maternità per fare il bene del pianeta. Le GINKs, ovvero Green Inclination no Kids, che si traduce come “impegnate per l’ambiente, no figli”.
Insomma, c’è chi sceglie di non avere figli perché teme che ciò acuirà il riscaldamento globale, ma anche c’è chi teme debbano affrontare eventi metereologici devastanti.
Che l’ansia climatica abbia assunto un ruolo nella demografia mondiale è stato certificato perfino dagli analisti di Morgan Stanley: «Il movimento per non avere figli a causa dei timori per i cambiamenti del clima sta crescendo … e sta avendo un impatto sui tassi di fertilità più rapido di qualsiasi tendenza precedente nel campo del declino della fertilità». Avere un figlio, scrivono citando dati, sondaggi, ricerche accademiche, «è 7 volte peggio per il clima rispetto alle emissioni di CO2 ogni anno che le 10 azioni mitiganti principali che gli individui possano perseguire».
Va precisato però, che questi dati sono validi per un figlio che nasce nei paesi più sviluppati, ovvero i paesi che inquinano di più. Ma sono anche gli stessi che oggi registrano i tassi di natalità più bassi al mondo. Quindi, forse il problema richiede ulteriori riflessioni.
In ogni caso, è evidente che il vissuto prevalente che si sta diffondendo nelle nuove generazioni è di tipo catastrofico, in quanto implica l’idea della fine del mondo così come lo conosciamo. Il movimento ambientalista Extinction Rebellion nato nel 2018 e prevalentemente composto da attivisti giovani, porta nel suo nome la minaccia dell’Estinzione in modo molto chiaro.
All’opposto, occorre rilevare una circolazione di idee negazioniste promosse in pubblico soprattutto da alcuni uomini di scienza appartenenti alle vecchie generazioni. In Italia, tra i più illustri, abbiamo il prof Franco Battaglia, il fisico Franco Prodi e il Prof. Zichichi che non credono alla teoria delle cause antropiche per spiegare il cambiamento del clima, nonostante le convergenze di tutte le comunità scientifiche internazionali su questa tesi. Nell’estate che sta esaurendosi, poi, abbiamo assistito a dibattiti accesi sull’argomento anche provocati dal libro più venduto del momento. Quello del generale Vannacci, dove si attacca, tra le altre cose, anche l’ambientalismo estremo e ideologico. Visto il successo che questo libro ha avuto è comprensibile che molte persone si sentano rassicurate dalle tesi contrarie alle preoccupazioni ambientaliste.
Si può osservare come appaiano sempre movimenti di pensiero estremizzati in coincidenza con la nascita di idee rivoluzionarie che cambiano l’immagine dell’uomo e del suo posto nel mondo. Giordano Bruno o Galileo, ad esempio, ne sanno qualcosa.
E’ quindi evidente che già a partire dal XX secolo è in corso una rivoluzione culturale che implica una nuova visione del mondo e del posto che l’uomo occupa nel mondo. Un cambiamento a carattere marcatamente antropocentrico, di cui bisogna imparare ad assumersi vantaggi, svantaggi e tutte le conseguenze pratiche ed etiche.
Il termine è stato proposto dalla comunità scientifica geologica per definire un’era caratterizzata da impatti geologici che risalgono alle attività antropiche. La discussione circa la data di inizio è ancora aperta. Si passa dalla domesticazione del fuoco e degli animali e si arriva fino al 1945, con lo scoppio della prima bomba atomica.
Ora, la specie umana ha avuto bisogno di 5 mila anni per passare da 20 milioni di individui ai 2 miliardi del 1927. Poi però, nei successivi 100 anni, è passata a oltre 8 miliardi di individui di oggi. Indipendentemente dalla data iniziale dell’Antropocene, è quindi molto recente la presa di coscienza che le attività di questa specie così splendidamente adattata all’ambiente, finiscono per incidere velocemente e invasivamente sulle altre forme di vita e sullo stesso Pianeta Terra.
Nella storia degli umani è relativamente da poco che si parla del tema al di fuori dei circoli scientifici. Le pubblicazioni sull’argomento sono tutte racchiuse negli ultimi vent’anni. I quali, se rapportati al tempo trascorso dall’inizio dell’attività pensante umana, ovvero dalla comparsa dell’Homo Sapiens, è il tempo di un battito di ciglia. Ciò significa che gli umani terrestri sono stati presi di sorpresa dalle conseguenze della loro rapidissima diffusione e dello sviluppo di tante competenze varie e diverse, tra cui ovviamente quelle tecnologiche, così spettacolari ma anche così invasive.
La presa di coscienza improvvisa dell’impatto antropico ha provocato la comparsa, come abbiamo visto, dell’ecoansia, che prende forma verso il pericolo di estinzione di molte delle specie viventi tra cui quella umana.
A proposito del tema dell’estinzione dell’umanità c’è una notizia riportata in un articolo di Telmo Pievani sul Corriere della Sera del 1° settembre, che stimola la riflessione.
Riguarda uno studio pubblicato su Science da un gruppo di scienziati cinesi in cui hanno lavorato anche due scienziati italiani dell’università di Firenze.
La ricerca si è basata sui riscontri genetici delle tracce lasciate negli umani contemporanei dai loro antenati nelle diverse epoche storiche.
Da queste tracce genetiche, pur debolissime, è comunque possibile trarre molte informazioni intorno alle migrazioni oppure all’espansione o riduzione delle antiche popolazioni umane.
E’ emersa così l’evidenza di un episodio di importante di spopolamento dei terrestri datato circa un milione di anni fa, tra l’homo Ergaster e l’Homo Erectus. Questa evidenza è confermata dalla scomparsa quasi totale di resti fossili delle attività umane proprio nello stesso periodo. Un periodo in cui i cambiamenti climatici naturali dovuti alle glaciazioni diventavano sempre più estremi portando ad un’ondata di estinzioni di molte specie viventi.
Intorno a 1,1 milioni di anni fa l’Europa si spopola totalmente e poi in seguito anche l’Africa, dove tra 930 e 813 mila anni fa sono sopravvissuti solo poco più di mille individui umani fertili. La specie umana in quel periodo è andata veramente vicina all’estinzione e il rischio si è protratto per centinaia di migliaia di anni.
Ma la differenza fondamentale rispetto al rischio di oggi è che i cambiamenti operati dall’uomo sul clima sono avvenuti in modo molto più veloce rispetto ai cambiamenti imposti dalle glaciazioni e quindi è difficile prevedere a breve in quanti aspetti, in quale direzione e in quali tempi potrà modificarsi l’ambiente terrestre. Difficile anche prevedere quali tra le specie viventi avranno il tempo di adattarsi a questi rapidissimi cambiamenti ambientali. Le variabili in gioco sono moltissime.
Prima della comparsa dell’uomo sulla Terra sono comunque già avvenute 5 estinzioni di massa di piante e animali terrestri. Per vari motivi come glaciazioni, asteroidi, ecc… L’ultima fu 65 milioni di anni fa, nel Cretaceo.
In uno studio pubblicato su Scienza Advances del 2022 a cura della Commissione Europea e della Flinders University in Australia, è stato sviluppato un modello della Terra su un supercomputer per simulare il destino interconnesso di specie tra loro collegate in più di 15.000 catene alimentari messe a rischio dai cambiamenti climatici. Le catene alimentari prevedono che se si estingue una specie si estinguano anche le specie predatrici della stessa. La conclusione è la seguente: “I bambini nati oggi che vivranno fino ai 70 anni possono aspettarsi di assistere alla scomparsa di letteralmente migliaia di specie animali e vegetali, dalle minuscole orchidee e i più piccoli insetti ad animali iconici come l’elefante e il koala, tutto in una vita umana.”
Lo studio conclude affermando che la Sesta estinzione di massa è già in corso.
Magari l’umanità non si estinguerà perché la storia ci testimonia la sua resilienza, ma è evidente che grande parte degli attuali otto miliardi di uomini dovrà fronteggiare ingenti e ripetute catastrofi localizzate prima e generalizzate poi, dovute a maltempo, carestie, epidemie, ecc… E con loro anche un enorme numero di viventi di ogni specie.
Insomma, l’ecoansia non è una nuova forma di disturbo psichiatrico da affrontare magari con un farmaco o con una terapia, ma qualcosa da riferire ad una minaccia reale, anche se non prevedibile nei tempi e modi. Quindi, ben venga anche un pò di ambientalismo ideologico, se la posta in gioco è così grande.
L’ecoansia è una condizione psicologica collettiva, nel senso che anche non pensandoci consapevolmente è nell’aria, dovunque, avvertibile da tutti. Ed è una condizione del tutto nuova, nel senso che fino a tutti gli anni ‘80 non era presente. Anzi era stata preceduta dal suo opposto. Una incondizionata fiducia nel progresso, nella soluzione dei problemi dell’umanità grazie alla scienza e alla tecnologia. Una fiducia che prevaleva nei sentimenti collettivi sin da dopo la seconda guerra mondiale.
Bisogna prendere atto che ormai l’ecoansia è un compagno di viaggio di tutti gli umani e non se ne andrà tanto facilmente, con buona pace di Vannacci e di coloro che sostengono che a Luglio ha sempre fatto molto caldo. Anzi è destinata a crescere nei prossimi anni, gli umani se ne facciano una ragione.
Possiamo però convenire che la decisione di non avere figli per il bene dell’ambiente sia estrema e forse anche grottesca. I nuovi figli inquineranno pure, ma le speranze di tutte le creature del globo terraqueo sono riposte oggi solo nelle nuove generazioni umane. Perché le vecchie non si stanno dimostrando libere di prendere decisioni radicali in quanto troppo invischiate in ciò che hanno costruito e nelle posizioni di potere raggiunte. Solo le nuove generazioni possono gradualmente, ma inesorabilmente, impostare un cambiamento radicale di questo antropocentrico atteggiamento che guarda alla natura e all’ambiente esclusivamente come qualcosa da sfruttare, monetizzare, controllare e dominare su un piano di interessi locali e particolari, piuttosto che come la casa di tutti i viventi. Una casa che sta in piedi solo se presa tutta insieme.
L’antropocentrismo è una questione di cultura prima che di tecnologia come ci ricorda il filosofo Heidegger, uno dei più grandi nel comprendere a fondo il problema del pensiero occidentale.
“Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica. Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo. Di gran lunga inquietante è che non siamo ancora capaci di raggiungere, attraverso un pensiero meditante, un confronto adeguato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca.”(Martin Heidegger, da “L’abbandono”, 1959).
Buon Universo a Tutti.
Written by: mind_master
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