Radio K55
Data di pubblicazione: 28/11/2023 alle 12:28
Il tema di cronaca più dibattuto in questi giorni, ovvero il femminicidio di Giulia Cecchettin, ha suscitato un’emozione così profonda da aver velocemente mandato sullo sfondo il non piccolo problema del conflitto Israele-Palestina di cui ci siamo occupati negli ultimi articoli.
Insomma, ultimamente non facciamo altro che parlare di violenza dei terrestri ma sembra impossibile fare altrimenti, almeno per il momento. D’altronde, Plauto, Hobbes e di recente anche gli Elettrojoyce (in un album del 1999) hanno messo sull’avviso circa le spinte distruttive degli umani verso i propri simili, utilizzando la famosa espressione scelta come titolo di oggi.
Nella maggioranza dei commenti attuali si può leggere il collegamento di questi fatti con la cultura patriarcale.
Da qui emerge subito una domanda: come è possibile che i femminicidi sembrano aumentare a dismisura se oggi, almeno nella cultura occidentale, come racconta implicitamente il noto film di Paola Cortellesi, “C’è ancora domani”, attraverso l’uso del bianco e nero, c’è meno patriarcato di ieri, e ieri meno dell’altro ieri ?
Proviamo a riflettere su questo tema. Quali sono le tendenze in base ai numeri reali ?
Il sito dell’Istat non evidenzia dati significativi sul tema delle tendenze nel lungo periodo all’aumento o alla diminuzione dei femminicidi. Si riporta solo un’analisi statistica condotta dal Ministero della Giustizia sui femminicidi a partire dalle sentenze dei reati dove si analizzano gli anni dal 2012 al 2016 e da cui non si evince una particolare tendenza.
Invece il sito https://femminicidioitalia.info/ sta facendo un lavoro accurato per raccogliere i dati pubblicati sulla stampa a partire dal 1998 ad oggi, con la specificazione ulteriore di dati precedenti su 10 annate del periodo 1911-1996. Per ogni annata, tutti i nomi e cognomi e anche le loro storie riportate dalla stampa di oggi e di allora.
Scopriamo così che il primo femminicidio riportato dalla stampa italiana nel 1911 parlava di un’altra Giulia, una nobildonna palermitana. Inoltre, il sito si dota di una rigorosa definizione di femminicidio che permette la distinzione di questo reato dalle altre forme di omicidio di donne, per rapina o altro, che spesso vengono conteggiate insieme dalla stampa, ma allargandolo a tutte le forme di violenza grave. La definizione presa dal sito è la seguente :“rappresenta qualsiasi forma di violenza esercitata sulle donne (spesso in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale) allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne la soggettività sul piano psicologico, simbolico, economico e sociale, fino alla schiavitù o alla morte”.
A fronte di questa definizione la conta dei femminicidi del 2023 in corso risulta arrivare a 39 con la morte di Giulia.
Nell’elenco del sito non viene riportata la notizia della morte di Maria Boccuzzi la cui storia vedete qui riportata.
Perché, probabilmente, fu una morte catalogata come una normale rapina dalla Stampa del 30 Gennaio 1953. Giornale che fu letto però da un tredicenne. Il quale tredicenne fu intervistato quasi 30 anni dopo, nel 1982, dal nostro Roberto Cappelli, guru di RockEverGreen di RadioK55, allora per conto della rivista Mucchio Selvaggio. Dalla quale intervista, emerse che la canzone più famosa di quel tredicenne diventato nel frattempo il “Faber”, era ispirata proprio a quella notizia del 1953. La prima versione della canzone era stata considerata dalla moglie del cantautore troppo cruda, perfino gratuita. “allora cominciai a limare, ad arrotondare gli spigoli, e saltò fuori la Canzone di Marinella” raccontò ancora Fabrizio in una successiva intervista.
Fu così che Maria Boccuzzi, ammazzata in quel 30 Gennaio con 6 colpi di pistola e gettata nell’Olona, divenne Marinella che scivolò nel fiume a primavera. Così che il suo cliente, assassino e rapinatore, divenne il principe che bussò cent’anni ancora alla sua porta. Così che una morte cruenta non meno di quella di Giulia venne trasformata in un gesto di pietà del vento che dal fiume la portò sopra una stella.
Qualche anno dopo la pubblicazione della storia di Marinella, nel novembre 1970 esce un’altra canzone, non sappiamo se fondata su una notizia di cronaca, che tratta però un vero femminicidio consumato su una spiaggia: “Lella” di Lando Fiorini.
Lella ebbe subito successo, catturava, sia per la musica che le forti immagini in dialetto romanesco. Ma all’inizio, per un periodo, subì anche il taglio della censura, in particolare degli ultimi quattro versi della terza strofa:
Me ne so’ annato senza guarda’ ‘ndietro
Nun ciò rimorsi e mo’ ce torno pure
Ma nun ce penso a chi ce sta la’ sotto
Io ce ritorno solo a guarda’ er mare
Versi che erano sembrati troppo scandalosi per la morale del tempo.
La Canzone italiana ci racconta quindi che probabilmente i femminicidi prima di una certa data non erano argomento da cavalcare per i media, non “bucavano” il video come diciamo oggi. Le notizie dovevano essere pubblicate nel rispetto della morale del tempo. Si poteva dire qualcosa di quanto succedeva nelle strade, perché c’erano le “mondane”, ma il segreto delle case, con tutto quello che succedeva dentro per i soggetti più deboli, donne e bambini, non si poteva ancora raccontare e forse neanche accennare.
Assumiamo quindi che la stampa abbia iniziato a riportare con puntualità e interesse i casi di femminicidio almeno a partire dalla data di nascita di questa parola: il 1992. Quando la criminologa Diana Russell la usò per indicare le uccisioni delle donne da parte degli uomini solo per il fatto di essere donne. In Italia la prima sentenza che utilizza questo termine data 2005.
Quando nasce una parola nuova per indicare un fenomeno e viene universalmente adottata negli anni successivi, possiamo assumere che il fenomeno è diventato visibile e riconoscibile da tutti.
Quindi prendiamo ora in esame gli elenchi dal ’98 che ad oggi sono sul menzionato sito femminicidioitalia, per fare alcune considerazioni. Assistiamo ad un lento aumento a partire da anni in cui compare solo un femminicidio fino ad arrivare a 10, in doppia cifra, per i femminicidi del 2014. Dopo di che la curva si impenna, 11,20,21,72,67,63,61,56 fino ai 39 di quest’anno ancora in corso.
Quali sono le ragioni per cui questo aumento diventa così evidente negli ultimi 10 anni ?
Una ragione può essere questa: alla maggior libertà di espressione, di lavoro e di costumi del genere femminile che deriva proprio dall’esaurirsi del modello di relazione patriarcale, consegue una crisi del genere maschile che in numerosi casi si esprime con una risposta violenta.
Il fatto che molti atti violenti coincidano con la fine di una relazione per decisione della donna, sostiene l’idea che la visione patriarcale della relazione non accetti una pari autonomia decisionale della donna a questo riguardo.
E’ sicuramente il caso delle culture mafiose. Sono famosi i casi delle donne che lasciano i loro compagni mafiosi e vengono uccise dall’Organizzazione stessa. Oppure che solamente scelgono uomini non appartenenti al clan, come Lia Pipitone, lasciata uccidere con il consenso del padre stesso.
Ma senza scomodare la mafia, è il caso di moltissime altre storie di relazioni che dovevano essere normali ma non lo sono state. Basta ricordare la storia dello sfregio dell’avvocato Lucia Annibaldi con l’acido muriatico, per aver osato chiudere la relazione con Luca Varani, suo ex, collega e mandante. E tante altre storie simili di minacce, stalkeraggio e violenze varie e diverse, che non sono nemmeno considerate femminicidi ma che al patriarcato possono essere ricondotte senza esitazioni.
Poi, dovremmo includere in questa ragione anche tutti i casi dove mariti separati uccidono non le mogli ma gli stessi loro figli, per vendicarsi delle mogli. Il film “Un giorno perfetto” , che racconta uno di questi casi, è del 2008, sempre con Mastrandrea nella parte del cattivo.
Occorre qui però fare una riflessione. Se si valuta il tema della separazione che comporta nella stragrande maggioranza dei casi la tutela della relazione madre figli e della continuità di questa relazione nella casa famigliare, molti uomini da separati si trovano a fronteggiare vissuti di perdita improvvisi e radicali.
Secondo una ricerca presentata al Congresso nazionale della Società Nazionale di Criminologia del 2010
intitolata : “UNA SCIA DI SANGUE” Omicidio e suicidio fra genitori separati: analisi del fenomeno emergente” ubaldi-nestola risulterebbe che: “L’uomo è di gran lunga in testa nell’elenco dei suicidi legati al disagio generato dalle separazioni e dai figli contesi, con 103 casi su un totale di 111 (93%), seguito da 4 casi di suicidio di minori e 4 casi di donne che si tolgono la vita”.… “anche dopo la riforma dell’affido condiviso – i Tribunali continuano a concedere un “diritto di visita” – creato arbitrariamente, inesistente nella normativa – limitato prevalentemente alle misure standard di alcune ore due pomeriggi a settimana, due weekend al mese, una settimana durante le vacanze natalizie e due d’estate”.
Per questo motivo nel 2017 ci fu un appello alla Camera da parte del deputato Tancredi Turco che suonava così: “Perché si parla tanto di femminicidio e non di patricidio? Perché i media sono così concentrati sulla tutela della figura femminile e ignorano che il crimine può avvenire anche nel senso inverso? Quello dei suicidi dei padri separati è un dramma sottovalutato dai media… si parla di 200 suicidi ogni anno solo in Italia e 2000 in Europa, nella stragrande maggioranza dei casi nell’indifferenza generale”.
Effettivamente quando i tribunali hanno cominciato ad essere invasi da cause di divorzio a partire dagli anni ’80 i giudici, nell’intento di tutelare al massimo un esercito di minori che da un giorno all’altro si trovava in mezzo ad un bivio, ha adottato criteri di assegnazione delle risorse materiali ed affettive sbilanciati a favore della donna. Poi si sa che le sentenze fanno letteratura e quindi Legge. Seguì un’ondata di suicidi di padri separati in connessione alla perdita simultanea della quotidianità con i figli, della casa famigliare, e di una buona fetta dello stipendio come conseguenza della decisione di separarsi che in molti casi era unilaterale, su iniziativa della madre. Nei casi peggiori di conflittualità, il diritto di visita dei figli da parte del padre risultava anche fortemente contrastato e deteriorato.
Negli anni successivi, il significato di questi fatti fu gradualmente recepito dalla magistratura che riconsiderò via via i diritti paterni facilitando maggiormente la frequentazione dei figli e riequilibrando l’assegnazione delle risorse familiari.
Potremmo dire che anche qui c’è stato un pregiudizio patriarcale, ma a rovescio. L’idea che solo le madri potessero esser genitori adatti per i figli minori oggi è decisamente invecchiata. Il genere maschile, anche in conseguenza delle separazioni di massa, si è infatti gradualmente evoluto nel proprio stile di accudimento genitoriale.
Quanto sopra detto circa la vicissitudine della genitorialità ha avuto qualche parte in causa con la tendenza in aumento dei femminicidi ? Ovvero, la nuova condizione di debolezza che caratterizza la figura paterna può sostenere un aumento della conflittualità di genere ?Può incidere almeno in parte sulla crescita di quei numeri ? Secondo la ricerca sopra citata “Una scia di sangue” sembrerebbe di sì in qualche misura: “E’ l’esclusione dalla vita dai figli ad avere ripercussioni critiche sulla sfera relazionale ed emotiva del soggetto escluso, facendo registrare una escalation di episodi delittuosi che desta preoccupazione: un incremento del 1600% nel periodo compreso fra il 1980 ed il 2000”
E’ comunque una spiegazione che rischia di essere totalizzante se presa alla lettera come sembra fare la Società Nazionale di Criminologia. Occorre riflettere meglio a quante altre variabili insistono in questo momento storico.
Ma si comincia a intravedere l’idea che non possiamo limitarci a un’interpretazione lineare di causa effetto esclusiva tra patriarcato e femminicidi, così come viene proposta attualmente in molti dei commenti circolanti.
In questo modo si rischia di mandare sullo sfondo l’analisi di altri importanti cambiamenti che l’umanità sta attraversando.
Una vera e propria rivoluzione antropologica di cui abbiamo già accennato negli articoli passati e che è diventata evidente a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Ma non è per niente chiara la direzione in cui sta evolvendo.
Per oggi basta così, ma vi anticipo che vi sarà un proseguimento del Homo Homini Lupus. Un HHL 2 e forse anche un HHL 3 perché occorre ancora analizzare cosa dice la psicologia della relazione femminicidi-patriarcato. Ma anche approfondire l’influenza che deriva dal nuovo atteggiamento dei media. E per ultimo, discutere sulle contromisure di cui si sta parlando per cercare di fare fronte a questi fenomeni.
Ma, visto che ultimamente parliamo solo della violenza degli umani, ricordiamoci che l’uomo non è solo Lupus per fortuna. E’ anche altro.
Ecco una notizia buona dalla Palestina finalmente: “I rilasciati di venerdì sono 4 bambini, 3 madri e 6 donne anziane. La più piccola è Aviv Asher, 2 anni, liberata assieme alla sorellina Raz di 4”.
Buon Universo a Tutti.
Written by: mind_master
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