Radio K55
Data di pubblicazione: 03/11/2024 alle 17:47
Non essere cattivo
Le cronache terrestri di fine ottobre sono focalizzate su quanto successo a Valencia a causa della famosa Dana, acronimo che sta per “Depressione isolata ad alta quota” in lingua spagnola. Ovvero, quel tipo di sistema temporalesco che è capace di scaricare grandi volumi di acqua in un ristretto margine di tempo, mandando al collasso tutte le strutture e sovrastrutture terresti allestite per smaltire l’acqua piovana, a cominciare dagli argini dei fiumi grandi e piccoli. Se la quantità di acqua che di solito cade in anno nella Spagna Orientale viene scaricata nel giro di poche ore il risultato è quello che si vede nelle impressionanti foto che circolano.
Nelle strade di Valencia si vedono decine di auto ammonticchiate come giocattoli rotti. Sembra di essere nella stanza da gioco di un bimbo dopo che ha appena finito di giocare con le macchinine insieme al fratello in una entusiasmante gara di scontri. Invece, si tratta di auto vere. Proprio quelle che, nelle pubblicità televisive, filano veloci attraversando strade bellissime, dotate di accessori fantasmagorici per rendere sicura la vita che si svolge a bordo, allietate da sorrisi felici. Ma in quelle foto le auto hanno perso tutto il loro fascino e le loro promesse di vita felice. Così ridotte a giocattolini sfondati e ammonticchiati sono diventate trappole mortali. Da simbolo dell’eccellenza tecnologica si sono trasformate in un attimo in simbolo dell’impotenza. C’erano dentro umani vivi e molti di loro ora sono morti. Nel parcheggio della morte, quello da 5.700 posti, di uno dei più grandi centri commerciale di Spagna, ha trovato la morte proprio chi, allo scatenarsi della tempesta, è corso a recuperare l’auto ai piani bassi.
Meteo, non essere cattivo
E’ curioso che questo fenomeno temporalesco sia generato da una massa di aria fredda ad alta quota che si isola dal resto del sistema meteorologico cui appartiene. Nelle fredde correnti a getto ad alta quota si possono creare strozzature di massa d’aria che diventano indipendenti dalla corrente originaria e cominciano così a stazionare in un angolo di cielo per poi perdere quota gradualmente. Una goccia fredda, così la chiamano.
Se l’aria umida e calda prodotta dall’evaporazione estiva del mediterraneo occidentale, ascendendo, incontra bruscamente una di queste gocce fredde si genera il patatrac. Di colpo le goccioline di acqua presenti nell’aria in forma di vapore cambiano stato e la parola giusta a quel punto è precipitazione. Giusta, perché non c’è quasi più tempo di fare niente. Tutto precipita, l’acqua e gli eventi successivi.
Sembra dunque che sulla Terra molti fenomeni estremi si manifestino di preferenza quando un qualche elemento si isola dal sistema che l’ha generato e a cui apparteneva. Fino al momento in cui la sua reintegrazione nel sistema prende forme estreme, catastrofiche.
Questa strana legge sembra valere anche per gli esseri umani.
Uomo, non essere cattivo
Per gioco, possiamo paragonare il meteo agli esseri umani. Anche questi, quando perdono il contatto con i valori della società civile che li ha generati finiscono per dare luogo a qualche fenomeno estremo. La cronaca nera recente è piena di storie in cui il protagonista compie un atto violento al culmine di un percorso di distacco dalla collettività cui apparteneva, cominciato tempo prima. Gradualmente si crea una strozzatura nelle loro vite che li trasforma in Gocce Fredde. Sempre più estranei a ciò che li circonda, la violenza diventa un modo per protestare. Per scagliarsi contro quel mondo cui non riescono ad appartenere. Recentemente, molti omicidi sono accaduti scegliendo la vittima in modo casuale o almeno incongruo rispetto alle ragioni del contendere.
Altrimenti, un modo per reintegrarsi alla collettività consiste nell’entrare a far parte di una comunità malavitosa che li faccia sentire importanti e sappia premiare il loro coraggio mettendogli in mano il potere dei soldi, dopo quello delle armi. Soldi, che forse non faranno la felicità ma come surrogato del proprio sentimento di valore funzionano sempre.
Per riflettere questo tema, prendiamo spunto dall’articolo di Roberto Saviano apparso sul Corriere della Sera del 24 ottobre scorso. Il giorno prima, un ragazzo di 15 anni, incensurato e non proveniente da famiglia malavitosa, era stato ucciso a colpi di pistola nel centro di Napoli. L’ultimo di una serie di omicidi tra giovanissimi. Gli autori sono spesso coetanei già affiliati a clan di Camorra.
Saviano evidenzia che la tendenza mondiale attuale è quella di un abbassamento dell’età media dei membri delle organizzazioni criminali. Dal Sudamerica, all’Asia, fino ai clan di Napoli si entra anche a 13 anni per arrivare a un ruolo ai vertici molto presto. Ma presto anche si muore o si finisce in carcere.
I boss e i giovani
Di questo scrive Saviano:
La terribile e amara verità è che le organizzazioni criminali sono le uniche che investono sui giovani: danno stipendi sicuri, se criminalmente vali e percorri le tappe giuste il premio arriva, anche se alla fine del percorso ci sarà carcere e morte per molti questo da senso di vita e sicurezza economica. Le altre alternative, quelle legali cosa danno? Cosa promettono, cosa mantengono? In un mondo dove conta solo avere denaro ed esser fighi, poter comprare consenso e mettere paura, perché non affiliarsi? Tutto suggerisce questa scelta
Si tratta di ragazzi che hanno lasciato la scuola perché non sono riusciti a trovarsi un posto nella collettività di appartenenza e quindi, isolati, sono facilmente caduti preda delle suggestioni malavitose di cui abbiamo già diffusamente parlato nell’articolo di un anno fa, intitolato “Ammazzatoi e dintorni”.
L’articolo di Saviano critica anche il Decreto Caivano di un anno fa, fatto in emergenza per contrastare la criminalità minorile, ma originato da esigenze propagandistiche. Non viene infatti operata alcuna distinzione tra reati comuni e reati in contesti di criminalità organizzata rendendo difficile il recupero e la riabilitazione del giovane.
Reati giovani ma carceri adulte
Anche Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’associazione Antigone per la difesa dei diritti nel sistema Penitenziario, in un articolo del 31 ottobre sul FattoQuotidiano, attacca il Decreto Caivano:
Rispondendo a un’interrogazione parlamentare, il ministro Nordio ha recentemente raccontato che al 30 giugno 2023 c’erano 3.274 minori di 25 anni nelle carceri per adulti, mentre oggi sono 5.067. Un aumento mai visto, di oltre il 50%. Da dove arriva?
Marietti fa notare che il decreto Caivano facilita di molto il passaggio alle carceri per adulti dopo i 18 anni, rendendo difficile il recupero e la reintegrazione del giovane che sono possibili solo nei Carceri Minorili dove il ragazzo aveva il diritto a scontare la pena, almeno fino a 25 anni. In questo modo il ragazzo, escluso dalla relazione educativa con gli operatori del Carcere minorile, perde ogni possibilità di recupero e reintegrazione nella società civile, visto che le sovraffollate carceri adulte sono equiparabili ad una fabbrica di criminalità. Così la Marietti chiude il suo articolo:
E fine. Fine della relazione educativa fine del percorso intrapreso, fine della loro crescita, fine della reintegrazione sociale, a volte fine della loro vita. Un futuro chiuso in celle buie di pochi metri cubi. Senza scuola, senza un libro, senza un dialogo con un adulto di riferimento. Solo mele per terra e cibo spiaccicato alle pareti.
Claudio Caligari, Non essere cattivo
Anche il regista Claudio Caligari è stato tentato di essere cattivo, molto cattivo. Di sé ha detto:
Non sono entrato nelle Brigate Rosse. Era così facile contattare Curcio o Franceschini…Credo mi abbia salvato il Cinema.
E’ uno di quelli che ce l’ha fatta e forse per questo, si è dedicato a raccontare le storie di che non ce la fa. Nato come documentarista si appassiona al cinema arrivando a collaborare con Ferreri, Bellocchio e Pasolini.
Completa tre soli film e muore nel 2015 senza aver potuto finire il terzo. Sarà l’amico Valerio Mastrandrea che ne porterà a termine la produzione. Dei suoi ultimi giorni, quando per la malattia disperava di poter concludere il suo terzo film, Mastrandrea ricorda:
E’ stato forse l’ultimo intellettuale vecchie maniere. Con la capacità di sporcare la propria anima e la propria intelligenza del nucleo essenziale di quello che si apprestava a raccontare.
In macchina, fermi a un semaforo rosso, mentre lo accompagnavo dall’oncologo disse: “Muoio come uno stronzo, e ho fatto solo due film”. Ho aspettato il verde in un epico silenzio. Ripartendo ho detto: “c’è gente che ne ha fatti trenta ed è molto più stronza di te”. Il suono leggero della sua risata soffocata mi ha suggerito il suo darmi ragione, confermato dall’annuire ripetuto della sua testa grande. Di gente stronza Claudio se ne intendeva, ne ha conosciuta tanta, e tanta ne ha liquidata con quel metro di giudizio. Stronzo è una parola che detta da lui aveva un altro significato. Più potente. Più profondo.
Ha raccontato gli ultimi, gli emarginati, i peggiori relitti umani, gli stronzi di tutti i tipi. Tre soli film ma un’unica ispirazione. “Amore tossico”, “L’Odore della notte” e appunto “Non essere cattivo”. Costituiscono una trilogia. Un racconto unico che si dispiega tra gli anni ’70 e ’90 e che idealmente prosegue il destino di quelle figure umane reiette che amava raccontare anche PierPaolo Pasolini. Proprio, come se avesse idealmente continuato a descrivere le vicende di “Accattone” dopo tanti anni, il cattivo di turno dell’omonimo film di Pasolini. Come lui, cercando la verità di quel mondo in attori non professionisti. Come lui, scegliendo la strada come luogo privilegiato per sviluppare le sceneggiature dei suoi film.
In “Non essere cattivo” uno dei due violenti protagonisti, si chiama Vittorio, come il Vittorio di Accattone. Interpretato da Luca Marinelli, cerca di salvare se stesso e l’amico Cesare, dal destino certo del carcere, della morte violenta o per overdose. Ma qui le loro strade si dividono perché Cesare non riuscirà a reinserirsi e tornerà a essere cattivo, una goccia fredda che farà ancora disastri.
Stefano Sollima, ma chi è il cattivo ?
Il racconto iniziato nel 1961 con Accattone e proseguito da Caligari, sembra idealmente concludersi con il terzo film di un’altra trilogia, il cui regista è Stefano Sollima. Dopo “Romanzo Criminale la serie” e “Suburra”, l’anno scorso è uscito il suo ultimo film, “Adagio”, che tratta della fine di quelle vicende malavitose romane maturate nella seconda metà del secolo scorso. In questo film si raccontano infatti le storie dei protagonisti della Banda della Magliana, ormai vecchi e malati, alle prese con la vicenda del figlio di uno di essi.
Un giovane ragazzo, anche lui in bilico tra diventare cattivo o inserirsi in un mondo di adulti che si presenta nel modo più respingente possibile. Dove non si distingue più chi è cattivo e chi no. La polizia viene infatti raccontata come capace di cattiverie ancora peggiori degli ex delinquenti della Banda della Magliana.
Il tutto in una Roma crepuscolare, devastata da incendi e da ricorrenti cadute della tensione elettrica che lasciano al buio la città. Qui ritroviamo il tema di una modernità dove il clima si è rivoltato contro l’uomo. Fa troppo caldo per permettere l’estinguersi degli incendi. Un caldo e un’aria malsana piena di ceneri che perseguita i protagonisti per tutto il film. Fine dell’utopia del benessere. Così come dell’utopia di una chiara distinzione tra cattivi e buoni. Tutto e il contrario di tutto, sembra il principio che regola la modernità.
Google, don’t be evil
Se, nello stesso periodo storico, dalle strade di periferia romane raccontate da Pasolini e Caligari, ci trasferiamo negli sgarrupati garage a sud di San Francisco, nella Silicon Valley, troviamo giovani ingegneri Nerd e Hippie che si divertono con l’informatica e la cibernetica. Il clima culturale, anche se radical e anti-sistema, è molto creativo perché proiettato a immaginare un mondo totalmente nuovo. Nel 1996 da uno di questi garage nasce Google, il cui motto rappresentativo della cultura aziendale era proprio “Non essere cattivo”. Ebbene non lo è più. Queste parole nel 2018 sono state sostituite da “fa la cosa giusta”. In questo passaggio forse troviamo una traccia della vicissitudine dei sentimenti morali delle genti umane negli ultimi decenni.
Il nuovo motto di Google è infatti molto più flessibile e adattabile alle molteplici prospettive da cui si possono perseguire i propri interessi sul mondo, indipendentemente dalla loro bontà o cattiveria.
La parola “cattiveria” sembra dunque ormai appartenere ad un vocabolario di altri tempi, a un lessico da fiabe per bambini. Oggi si può solo parlare di RESPONSABILITA’ dei propri atti. Come ha fatto il sindaco di New York nel Gennaio scorso, accusando tutti i Social Media, compreso Google, di aver manipolato i giovani causando loro dipendenza dai social. Ascoltiamo Eric Adams dal proprio profilo su X:
È giunto il momento di ritenerli responsabili di aver alimentato la crisi nazionale della salute mentale giovanile.
L’altro vocabolo per eccellenza della modernità è LEGALITA’. La Città di New York ha quindi intentato causa ai Social Media per chiedere un cambio alla condotta di queste aziende cui dovranno seguire sanzioni pecuniarie. Insomma, ma chi sono i cattivi alla fine ?
Fine delle apparenze.
La scoperta della natura enigmatica e ambivalente della cattiveria si deve anche al lavoro di questi registi, visionari nel raccontare un passaggio, una transizione. Da un mondo dove si credeva di sapere cosa era buono e cosa cattivo si è passati ad un mondo dove occorre andare oltre le apparenze. Un mondo che va interrogato continuamente perché i primi significati che si rivelano sono spesso contraddittori. E’ finito il tempo di credere che i cow-boy fossero i buoni e i pellerossa i cattivi. Il tempo in cui si credeva che il progresso fosse una strada luminosa che avrebbe condotto l’umanità fuori dal buio della Storia. Che la tecnologia avrebbe assicurato solo benessere e prosperità. Che la democrazia si sarebbe imposta come l’unico strumento di governo possibile e funzionante.
Nei personaggi narrati dal cinema italiano dell’altro secolo si presentava la cattiveria come un dilemma potenziale di ogni essere umano. Una scelta possibile per chiunque fosse portato dalle vicende di vita davanti a un conflitto di interessi con il prossimo. Ma anche una scelta problematica, mai risolutiva, mai appagante. Accattone di Pasolini seduce una ragazza per farla prostituire a suo vantaggio, ma poi se ne innamora e finisce per tentare di rientrare nella società dei “buoni” cercandosi un lavoro, ma senza riuscirci. Vittorio e Cesare di Caligari, dopo aver maramaldeggiato in vari modi, sembrano essere sul punto di farcela a rientrare tra i buoni, ma anche loro dovranno confrontarsi con il passato che ritorna.
In questi film il dilemma è ancora una scelta prevalentemente personale. Una scelta tra il bene e il male che la persona deve prendere con se stessa pur riconoscendo di far parte di un mondo comunque imperfetto e non accogliente. Pur essendo tentata di scegliere per il male, proprio a partire da queste imperfezioni.
Il tormento del dubbio
Nel film di Sollima invece, più recente, si intravede che il dilemma si è sviluppato gradualmente in una direzione ancora più complessa e attuale. Non c’è solo la scelta personale a generare dubbi e conflitti. Occorre prima distinguere cosa è giusto da cosa è sbagliato, nel piccolo e nel grande di ogni accadimento quotidiano. Ma è una distinzione difficile, qualche volta impossibile. Come viene narrato in un altro film del 2012 di Sollima, tratto da un libro del giornalista Carlo Bonini, che si intitola A.C.A.B., ovvero “All Cops Are Bastards”, ovvero “Tutti i poliziotti sono bastardi”. Non è un film contro la polizia, anzi. Qui si narra quanto dura possa essere la vita di un poliziotto anche da un punto di vista morale. Di colui che, in apparenza, dovrebbe essere garantito sin dall’inizio che ogni sua scelta è validata dal fatto di stare dalla parte del bene, in quanto poliziotto. Le situazioni contraddittorie della contemporaneità non risparmiano il tormento morale a nessuno.
A proposito del motto “Fa la cosa giusta”… è esattamente il titolo di un film di successo di Spike Lee del 1989, che parla di tensioni razziali a Brooklyn. Pensate di sapere con certezza chi fossero i cattivi in questo film? vi lascio con il dubbio.
Un dubbio che non è solo vostro, ma di tutti gli umani che fronteggiano le sfide del tempo corrente per distinguere il giusto dallo sbagliato.
Se aver fatto fuori la parola cattiveria sembra aver risolto il problema del come comportarsi, ora il dilemma si è spostato sulla cosa giusta da fare, per la quale non ci sono più riferimenti collettivi validi per ogni occorrenza, e ognuno si trova da solo davanti al compito di fare le sue scelte.
La risposta, di volta in volta, si può trovare, ma a condizione di non banalizzare la questione delle ragioni e dei torti. Di non cercare facili semplificazioni. Di non voltare lo sguardo di fronte alla problematicità e alla fatica di questa ricerca.
Insomma, fate la cosa giusta se sapete qual è, e…. Buon Universo a Tutti!
Written by: mind_master
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