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Psicologia

Ammazzatoi e dintorni

today08/10/2023 - 22:33 109

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Data di pubblicazione: 08/10/2023 alle 22:33

Questa settimana vi voglio parlare di un fatto che mi ha riempito di stupore. Una notizia da poco, rispetto ad altre più eclatanti, ma che aiuta a comprendere un aspetto caratteristico di queste popolazioni umane sempre affaccendate.

Nell’articolo della settimana scorsa, abbiamo già visto come una delle passioni dei terrestri sia il profetare. Ovvero l’affabulare, in genere in forma letteraria, di fatti futuri immaginandoli però molto vicini a come poi effettivamente si avvereranno. Nessun altra popolazione dell’universo ha capacità simili, che io sappia. 

Oggi parleremo di un’altra passione che assorbe tante energie degli umani e occupa in tutta evidenza il centro dei loro interessi. La passione per gli ammazzamenti tra simili. 

E’ ben noto che una larga parte dei prodotti dell’industria culturale terrestre è incentrata su delitti di ogni tipo.

Libri, serie tv, film, notizie di cronaca, finiscono per diventare molto popolari quando al centro della narrazione c’è la descrizione di un comportamento delittuoso verso un proprio simile. Specialmente, poi, se la descrizione è condotta a partire dal punto di vista dell’assassino. Specialmente, ancora, se nel dispiegarsi della storia emergono impliciti o espliciti connotati freddi, sadici, dis-umani.

Una vera e propria “serial killer culture” 

Non a caso la serie Tv più popolare degli ultimi tempi, a livello internazionale, è la ben nota “SquidGame”: con le sue 1,65 miliardi di ore viste in totale si piazza al primo posto della classifica delle serie più viste di Netflix. Più del doppio delle ore di “La casa di Carta” dove gli spari non mancano, però senza l’appeal del connotato sadico su cui non viene messo l’accento.

A livello nazionale occorre citare la ben nota serie tv Gomorra, che si fregia del titolo di serie italiana più popolare all’estero. “Ce ripigliamm tutt chell è o’ nuost” commenterebbe Pietro Savastano se potesse, il noto protagonista della serie, orgoglioso di non essere da meno delle produzioni straniere.

In letteratura, inoltre, esiste un genere di grande successo chiamato “True Crime” e composto da saggi e romanzi che raccontano storie di crimini veri sviscerando tutti i dettagli nei minimi particolari. 

In mezzo al turbine di emozioni intense e contraddittorie che queste vicende suscitano nello spettatore/lettore, pochi fanno caso al fatto che tra gli uomini, nel loro ammazzarsi senza sosta, c’è qualcuno che ogni tanto, preso da un raptus di lucidità, dice qualcosa di molto vero. Qualcosa che getta una luce su questa passione per gli ammazzatoi, e la dice così, semplicemente, brutalmente, banalmente. 

In quelle poche parole, a ben vedere, si dà ragione di un aspetto della dimensione tragica del vivere come esseri umani, forse meglio che in tanti testi di filosofia e psicologia.

Prendiamo, per esempio, le parole di Oreste Spagnuolo, killer della Camorra, tratte da una biografia scritta nel 2012 da una giornalista del Mattino. 

“Bello uccidere, ti dà una sensazione di onnipotenza“

Questa è la frase clou del libro. Il killer è un mestiere, tra i più pericolosi, perché se non si finisce ammazzati prima o dopo, ci sono alte probabilità di finire in prigione per lunghi anni. 

Rischi che non sono commisurati ai guadagni, specie per “pesci piccoli” come Spagnuolo. Gli stessi soldi si possono certo guadagnare in più tempo e con molta maggior fatica, ma senza correre rischi così impattanti sulla qualità di vita complessiva. 

Si dirà che la causa è l’ignoranza. Ma non occorre avere una laurea per sapere, anche in quegli ambienti, che la carriera di un pesce piccolo di mafia, finisce con molta probabilità al camposanto o in galera.

Ma Spagnuolo, sia nel libro, che nelle numerose interviste successive, parla volentieri delle contraddittorie motivazioni che sono dietro a questo genere di scelte di vita.

“killer si può diventare per comperarsi un paio di scarpe o per essere ammirati dalle donne, oppure per non dover mai abbassare lo sguardo” oppure ancora “per appartenere a qualcosa e a qualcuno, per sentirsi grandi e provare il brivido dell’onnipotenza”. “Eravamo rispettati. Ma quel rispetto nasceva dalla paura. Del resto non pensavamo neanche: ‘Se poi un giorno mi arrestano…’ “ 

Fuggire dalla nullità 

Oreste Spagnuolo non si preoccupa del futuro, perché la pressione delle sue angosce di non contare nulla è nel presente. Ribaltare il sentimento di nullità appartenendo ad un’organizzazione potente è troppo urgente, gli basta e avanza. Poi, come viene arrestato per l’ultima impresa di camorra, con cinque accuse di omicidio, si trova per forza a dover ubbidire ad un altra organizzazione potente, lo Stato, e sceglie così di appartenere a questa, diventando “collaboratore di giustizia”, una definizione su cui ci sarebbe da riflettere. Una piroetta identitaria che però ottiene, se non altro, le protezioni e gli sconti di pena riservati ai pentiti. In più, anche essere un collaboratore di giustizia vuol dire essere qualcosa che tiene a galla, se il problema urgente è non sprofondare nel nulla di se stessi. Per colmo, accade che Spagnuolo, dopo la pubblicazione del libro, viene prima intervistato da Santoro nel 2015 e poi dalle Iene. Diventando così ancora più visibile di quanto mai lo fosse stato da camorrista.

La vera urgenza

Si intuisce da questi comportamenti che non si tratta di individui che sanno gestire bene i propri interessi, ma che agiscono così per rispondere ad un’impellenza, ad un’esigenza urgente che non gli permette di pianificare diversamente lo sviluppo della loro vita. L’urgenza è avere la prova di esistere, essere riconoscibili in qualche modo, essere visibili a tutti i costi. Per non essere risucchiati dal vuoto di significato in cui si sentono di precipitare. Ovviamente, ciò chiarisce le cose solo fino ad un certo punto. Cos’è questo vuoto di sé ?

Queste riflessioni si approfondiscono se andiamo a leggere una notizia di tre giorni fa. Il 5 Ottobre scorso, i maggiori giornali nazionali, riportano la storia di un altro killer di Camorra. Di seguito la foto nel giorno dell’arresto, quando aveva 19 anni, è tratta dal Corriere del Mezzogiorno.

Fascinazione criminale”

E’ questo il titolo di una tesi in Sociologia della Sopravvivenza con cui il 33enne Catello Romano si è laureato con 110 e lode, dal carcere in cui è rinchiuso da 14 anni e dove deve stare minimo altrettanti . 

L’incipit recita: ”ho commesso crimini orrendi e sono stato condannato per diversi omicidi di camorra. Quella che segue è la mia storia criminale” .

Qualcuno dirà che questi pentimenti tardivi servono solo ad ottenere sconti di pena, ma in questo caso, ed è questa la cosa stupefacente, Romano utilizza la tesi anche per riconoscere la sua responsabilità in due altri omicidi di cui nulla aveva detto prima. Cosa che rende più probabile casomai un prolungamento della sua pena, visto che la Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha disposto l’acquisizione del documento.

Inoltre, la tesi è caratterizzata da un lavoro di introspezione psicologica sul percorso evolutivo che in giovane età porta a diventare camorrista. Tanto, che il massimo voto assegnato è stato così giustificato nel commento del relatore “È stato molto apprezzato il lavoro di tipo “autoetnografico” svolto dal candidato”

Il relatore mette così l’accento sul valore della ricostruzione della matrice culturale in cui un giovane può essere cooptato dai valori mafiosi, in particolare modo l’identificazione con Raffaele Cutolo in seguito alla visione di un film sulla sua vita (“Il camorrista” a proposito della “serial killer culture”). 

Ma nella tesi non c’è solo il commento sulle attrattive dei valori mafiosi ma anche un tentativo abbozzato di riflettere sulla storia personale e sugli aspetti psicologici connessi, perché ci sono cenni a fatti autobiografici precedenti all’affiliazione, a relazioni importanti e disillusioni importanti. 

Tornare al passato?

Romano riporta: “di voler ripartire da quel Catello che ero prima di tutto quello che ho raccontato”

Anche la mamma, presente alla seduta di laurea riporta: ”Mentre discuteva la tesi davanti alla commissione, ho ritrovato il vero Catello”.

Ma non si tratta di un vero ritorno al passato. Perché il Catello di oggi è quello prima della mafia, d’accordo, ma anche con tutto ciò che è seguito dopo, delitti, uccisioni a ripetizione, relative pene. E poi il carcere, con le sue lunghe giornate per riflettere.

Non è più un Catello vuoto di sé, quel vuoto che descrive molto bene Spagnuolo. Quel vuoto così pervasivo per cui basta un banale film su Cutolo a fare clic, a generare l’illusione di averlo sconfitto definitivamente. Adesso c’è un pieno di tutti i pensieri che sono stati anche coraggiosamente portati avanti nei lunghi anni di carcere, anni lunghissimi perché sono quelli giovanili. Un pieno che si forma a poco a poco a partire dal riconoscimento delle colpe, dall’accettazione della pena e del limite imposto dal carcere. Il vuoto di identità precedente è ora evidentemente scambiato. Solo così si può scrivere una tesi autobiografica pienamente presenti a se stessi, al punto da preferire la propria piena verità alla paura di un aggravio di pena per le nuove rivelazioni.

L’incontro con il vuoto in età giovanile

La passione dei terrestri per gli ammazzamenti, reali o raccontati che siano, non riguarda solo i giovani. Perché i non giovani fanno ben di peggio purtroppo. Ma l’argomento è talmente vasto che dobbiamo affrontarlo un poco alla volta. Quindi torniamo ai nostri Spagnuolo e Romano che sono stati dei temutissimi baby-killer. L’originale film Gomorra (da cui è stata tratta la foto del titolo) ci ha mostrato come si svolge e quanto è facile l’arruolamento dei giovanissimi nelle file delle organizzazioni mafiose. Perché è così facile mettere un’arma in mano ad un ragazzo ? Perché un giovane è così esposto da farsi catturare in un mondo di problemi e di relazioni di potere adulti ?

Abbiamo già trattato il tema dell’angoscia di vuoto che accompagna la fine dell’infanzia, nel tempo della pubertà. Per tutti gli umani, non solo per chi nasce e cresce in culture particolari o in ambienti disagiati. Anche solo parlando di banali tatuaggi è venuto già fuori l’argomento come scritto nell’articolo 

Tutto di te. Tatuami tutto di te

Nell’edizione odierna del Corriere della Sera, c’è poi un articolo di Chiara Bidoli dal titolo “Ansia e depressione colpiscono sempre più i giovani”, dal tono preoccupato sul recente peggioramento della salute psichica delle nuove generazioni, dove si citano dati allarmanti. Si dà la colpa, tra le altre cause, anche al periodo di ritiro sociale causato dalla pandemia. Ma più che alla pandemia occorre riflettere alle tendenze che si sono imposte nella trasformazione della società negli ultimi decenni e che hanno investito il mondo giovanile. 

Avremo l’occasione per tornarci sopra quanto prima. La cronaca terrestre ci darà presto un nuovo spunto. 

Buon Universo a tutti.

 

 

Written by: mind_master

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