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Psicologia

…C’è psicologia un po’ per tutti e tutti quanti hanno uno psicologo sulla cattiva strada…

today29/04/2023 - 22:26 190 5

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Data di pubblicazione: 29/04/2023 alle 22:26

La notizia di oggi non ve la racconto subito. La tengo in serbo per la fine di questo articolo, poi capirete perché. Nell’articolo della settimana scorsa, abbiamo scritto che gli umani, già dal secolo scorso, stanno attraversando una rivoluzione antropologica che comporta la necessità di rinnovare quasi ogni aspetto della vita privata e sociale. Vorrei ora tornare sul ruolo che tende a venire assegnato alla psicologia in questa rivoluzione. Se infatti andiamo a ben vedere, nelle ultime notizie di cronaca la psicologia viene tirata per la giacchetta un po’ da tutte le parti. 

Un esempio: Nel discorso di Alessandra De Fazio del 4 Aprile, davanti a Sergio Mattarella, nel già citato ultimo articolo, c’è anche un appello alla necessità di introdurre la psicologia a sostegno dei percorsi di formazione: “Chiediamo che il nostro Paese consideri il benessere psicologico diritto fondamentale dell’individuo al pari della salute fisica sia con l’introduzione della figura dello psicologo di base, ma anche con una riforma sistemica che decostruisca i pilastri meritocratici

L’intervento di De Fazio all’università di Ferrara era appena stato preceduto da quello analogo, della collega Emma Ruzzon dell’università di Padova, dove esplicitamente si citavano i casi di suicidio in diverse università italiane a seguito del fallimento del percorso di studi. Ma i tassi di suicidio sono in aumento anche nelle altre categorie di popolazione e la psicologia (o meglio, la sua presunta assenza) viene sempre chiamata in causa.

Il caso dei suicidi nelle altre categorie di popolazione

Il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi, David Lazzari, ha sottolineato lo scorso agosto come sia cruciale “L’inserimento degli psicologi in maniera stabile e strutturale in pianta organica nelle carceri”, ovviamente per l’alto tasso di suicidio tra detenuti e polizia penitenziaria.

Per le forze dell’ordine in generale, dove il suicidio è la prima causa di morte violenta, tasso doppio rispetto alla popolazione generale, è nato il progetto di prevenzione dei suicidi di Team Blue Line che ha come elemento distintivo l’assistenza psicologica in forma anonima. Nelle RSA per anziani il problema è identico nel senso che vengono reclamate risorse per poter sostenere la figura dello psicologo in pianta stabile, sempre per prevenire il possibile atto suicidario. 

Nelle scuole, a Dicembre scorso, il presidente dell’Associazione nazionale presidi del Lazio, Cristina Costarelli, intervenuta sull’emergenza suicidi tra i giovani per i fallimenti scolastici, ha sostenuto che c’è bisogno di un supporto psicologico nelle scuole finanziato dal Ministero dell’Istruzione perché le singole scuole non possono farlo da sole.

Come chiudere bene la stalla dopo che sono scappati i buoi

E’ stato ampiamente dimostrato che la psicologia può fare molto per prevenire il suicidio, e in generale gli atti autolesionisti in relazione ad esperienze depressive. Però c’è un rischio nel pensare che fenomeni che segnalano un malessere così generalizzato possano essere risolti solo potenziando l’accesso al supporto psicologico. Per spiegare meglio quanto intendo vi porto il caso della Psicologia dello sport.

Di Novembre scorso è la notizia che L’accademia di Ginnastica Ritmica di Desio, al centro delle denunce delle ragazze della Ginnastica ritmica di cui abbiamo parlato in precedenza (vedi l’articolo Agone che passione), ha dato incarico ad una psicologa specializzata in psicologia dello sport e già presidente dell’Aips (Associazione Italiana di Psicologia dello sport), di vigilare sul rapporto tra atleti e tecnici, per evitare le situazioni che hanno portato all’attuale processo in corso per accertare presunte violenze psicologiche sulle ginnaste.

Sicuramente un’iniziativa opportuna, ma se andiamo a spulciare sul web come la psicologia dello sport presenta i suoi scopi e i suoi obiettivi appare chiaro che c’è ancora qualcosa da riflettere.

Chi è che si avvantaggia dello psicologo dello sport ?

Lo psicologo dello sport è uno psicologo, non necessariamente formato in senso clinico o psicoterapeutico, che si specializza attraverso dei corsi post laurea, tipo Master. Tra gli istituti che erogano questo tipo di formazione vediamo che La Sigmund Freud University presenta così il tema :

…lo psicologo dello sport si pone come obiettivo principale quello di farli vincere. Il suo lavoro consiste soprattutto nell’integrare l’allenamento fisico vero e proprio con un intervento psicologico che aiuti l’atleta a potenziare la prestazione”.

InTherapy di Studi Cognitivi presenta così il tema:

…Lo psicologo dello sport fornisce all’atleta strumenti che gli permettono di migliorare la propria prestazione”

La Unicusano presenta così il tema:

…lo psicologo sportivo è colui che si occupa di allenare e potenziare le abilità mentali degli atleti e degli sportivi in generale. L’obiettivo di un professionista degno di tale sostantivo è quello individuare i fattori psicologici che influenzano la prestazione sportiva e l’attività fisica.

Se ne trae che lo psicologo dello sport ha per cliente l’atleta (non la persona) e per committente, ovvero colui che paga, ha generalmente la Federazione oppure la società sportiva. Potremmo quindi dire che lo psicologo dello sport è inserito in un contesto che lo porta a considerarsi bravo solo quando l’atleta abbia successo, piuttosto che la persona risolva i suoi sintomi depressivi. Se poi, la sua sensibilità umana gli permette comunque di lavorare a vantaggio della qualità della vita della persona, piuttosto che dell’atleta, lo psicologo dello sport potrebbe anche scontentare il committente. Un bel dilemma.

Lo sportivo sedotto e abbandonato

Ma la domanda di aiuto di un atleta di successo che va in crisi potrebbe essere molto più complessa di quella di tornare a vincere, come dimostra quanto abbiamo già discusso dei casi di burnout nello sport agonistico (vedi il caso di Agassi di cui abbiamo parlato nel già citato articolo sullo sport).

I dati circolanti sulla depressione negli sportivi agonisti indicano un 20-25% del totale che è molto superiore a il 6-7% riscontrato nella popolazione generale. Ma soprattutto, secondo la letteratura corrente, è a fine carriera che il dato si impenna fino ad un drammatico 50% di disturbi depressivi riscontrati negli atleti di alto livello, quelli che hanno dedicato l’età evolutiva, la giovinezza e parte della maturità unicamente alla rincorsa della vittoria, sacrificando tutto il resto. Quindi, se a metà carriera c’è una crisi di risultati, e l’intervento dello psicologo dello sport è diretto unicamente a tornare alla vittoria, il risultato probabile sarà che quell’atleta riuscirà a terminare la sua carriera da vincente, ma dovrà scontare tutto dopo. Perché se ciò che conta non è il benessere della persona che cerca di trovare la sua strada nella vita, sportiva e non solo, ma quello delle aspettative che l’istituzione o l’ambiente di appartenenza nutrono nei confronti dell’atleta, la psicologia sportiva, anche quando funziona, serve solo a rimandare le crisi depressive alla fine della carriera. L’atleta che per decenni ha accettato di farsi digerire dalla macchina agonistica facendo solo lo sportivo, a fine carriera si deprime ovviamente, e sono tanti. Ma non fa notizia, perché è ormai fuori dal giro.
Ecco perché occorre fare una riflessione su quanto sia utile una psicologia sportiva finanziata esclusivamente dalle società e federazioni di appartenenza dell’atleta. 

Lo psicologo sedotto e abbandonato

Ma questo non vale solo per lo sport. In qualsiasi contesto dove lo psicologo è chiamato da un’istituzione ad intervenire su un soggetto a causa di un deficit di prestazioni (scuola, università, attività produttive), occorre riflettere se gli scopi del committente e del destinatario del servizio coincidono oppure no. Nel caso non coincidano, si può comunque lavorare ma bisogna essere pienamente consapevoli di quello che sta accadendo, altrimenti si va in contraddizione con il proprio lavoro. Una psicologia che non sia esclusivamente al servizio della persona che soffre ed alla ricerca del suo benessere, infatti, tradisce se stessa e chi tradisce se stesso alla lunga è a rischio burnout, come insegna Agassi. Lo psicologo non è fuori dalla rivoluzione antropologica in corso, che esalta la piena realizzazione dell’individuo come valore sommo e che dà quel particolare accento alle parole fallimento/successo. In quanto umano ne è parte, la subisce ma anche la agisce nel momento in cui, in buona fede, pone al paziente degli obiettivi che sono in linea con la cultura committente della loro chiamata in campo, ma non della persona che soffre. Basti pensare che fino al 1990, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità si pronunciò al proposito, c’era ancora chi sosteneva che lo psicologo dovesse curare l’omosessualità (la cosiddetta terapia di conversione) come fosse un disturbo mentale. Anche gli psicologi possono essere sedotti dal mito di poter curare tutto, avere successo su tutto, tranne poi accorgersi che una parte del malessere che incontrano appartiene anche a loro, ne fanno parte come qualsiasi altro essere umano.

In conclusione, tutti sono costretti a confrontarsi con una certa quantità di successo o di insuccesso delle proprie azioni ed a trovare un posto adeguato per questo bilancio lungo il dispiegarsi della propria vita nel mezzo dei miti della contemporaneità, sia come studenti, sportivi, genitori o lavoratori. E’ un compito ineludibile.

Ed ecco la notizia di questa settimana finalmente !

Intervista a Giannis Antetokounmpo, stella dei Milwaukee Bucks, dopo l’eliminazione della sua squadra al primo turno dei playoff Nba. Alla domanda di un reporter che gli ha chiesto se, alla luce del risultato, considera questa stagione «fallimentare», il greco ha risposto: Oh mio Dio, Eric, mi hai chiesto la stessa cosa l’anno scorso. Ma tu ottieni una promozione ogni anno? E quando non la ottieni, il tuo anno è un fallimento? Sì o no? No. Ogni anno lavori per arrivare a un obiettivo: che sia una promozione, prenderti cura della tua famiglia, prendere una casa, qualcosa. Non si parla di fallimento, ma di fare dei passi verso il successo.
Michael Jordan ha giocato 16 stagioni nella NBA, ha vinto 6 volte: le altre 9 sono state un fallimento? No.
Non esiste fallimento nello sport. Ci sono giorni buoni e giorni meno buoni. In alcuni sei in grado di ottenere il successo, in altri no. Qualche volta è il tuo turno, altre volte no. Questo è lo sport: non devi sempre vincere, vincono anche gli altri. E quest’anno vincerà qualcun altro
». 

Mi sembra non ci sia altro da aggiungere. Sta tutto qui. Uno psicologo non avrebbe saputo dire meglio.

Buon universo a tutti.

Written by: mind_master

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