Radio K55
Data di pubblicazione: 13/12/2023 alle 22:09
Come copertina del presente articolo potete ammirare l’acquerello stile Art Noveau di Maximilian Pirner intitolato “homo homini lupus” del 1901.
Circondata dalla vita animale la figura alata dell’Immaginazione viene crocifissa da una truppa di scimmie. Per il pittore un soggetto allegorico per esprimere come il mondo ideale dell’arte fosse soggetto a uno scontro spietato e devastante con la realtà dei tempi moderni del primo 900.
Ma l’immagine è molto efficace anche oggi, perché si presta perfettamente a tornare sul tema del corpo della donna e delle sue vicissitudini nella sua funzione cardinale di porta di ingresso della vita sul pianeta Terra.
La dedica a Schopenhauer alla base del dipinto poi, fa pensare al pessimismo che il filosofo tedesco ha espresso circa l’amore di genere : “Ogni innamoramento, per quanto etereo voglia apparire, affonda sempre le sue radici nell’istinto sessuale”.
Questo istinto è un grosso problema per i terrestri. Torniamo quindi sull’argomento femminicidi per completare il tema trattato nei due precedenti articoli, pure intitolati Homo homini lupus, delle scorse settimane. Dal momento che la discussione pubblica nel paese dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin si è incentrata sul tema della relazione femminicidi-patriarcato è su questa che proponiamo di riflettere anche in questo articolo.
La caratteristica più visibile della cultura patriarcale è quella di dare per scontata una minorazione di diritti e di libertà delle donne rispetto agli uomini. Una minorazione che si focalizza sulle regole comportamentali inerenti il controllo del corpo della donna. Soprattutto in relazione alle funzioni di procreazione ed ai comportamenti inerenti la gestione della sessualità, che fanno da premessa alla procreazione. Vediamo alcuni esempi storici ed attuali.
Ma è in particolare all’antica Grecia che dobbiamo guardare per comprendere l’origine delle forme di condizionamento patriarcale ereditate dalla cultura occidentale.
E’ tristemente noto il pensiero di Aristotele sulle donne: “La femmina è femmina in virtù di una certa assenza di qualità. Dobbiamo considerare il carattere delle donne come naturalmente difettoso e manchevole” Un tipo di pensiero che oggi viene considerato razzista. Pure se il concetto di razza manca di ragioni per sopravvivere alle conoscenze attuali. Ma comunque, nel mondo greco lo stereotipo più forte era quello della donna sana solo se madre. Qualsiasi sintomo della donna veniva messo in relazione con la sfera genitale.
Scrive Paola Manuli, ricercatrice filosofica, nel suo testo più noto, “Medicina e antropologia nella tradizione antica” del 1980:
“le normali attività fisiologiche femminili, il coito, la maternità, il parto, le mestruazioni, l’allattamento, sono concepite come funzioni terapeutiche di un immaginario ‘male femminile’: la femmina, che è materia igienica per il maschio nel rapporto sessuale, viene a sua volta salvata da questo contatto, senza il quale avrebbe inizio un processo di sclerosi del suo stesso corpo, una degradazione dei suoi stessi organi sessuali, che conduce irrimediabilmente alla malattia. In tal senso, la ginecologia è un sistema di sapere dalla tradizione fra le più monotone, dal linguaggio fra i più poveri, che isola ripetitivamente e ossessivamente sempre una serie fissa di coordinate: la normalità del coito, della concezione, del parto, e l’anomalia dell’aborto, della sterilità, della verginità e della vedovanza. Il suo scopo è essenzialmente quello di ripristinare la fecondità e la fertilità della femmina quando una delle innumerevoli malattie femminili minaccia di produrre, come sua conseguenza, la sterilità perpetua”.
Ma perché questa storica e universale ossessione delle popolazioni umane terrestri nell’assumere il controllo sul corpo della donna e il suo potere generativo? Riflettiamo su un altro fenomeno tipicamente maschile: la guerra.
La necessità di controllare la crescita della numerosità degli individui di una popolazione umana per le ricadute sulla stabilità degli ecosistemi umani, passa attraverso l’invenzione della guerra come sistema regolativo. L’intelligenza umana dà un enorme vantaggio adattativo all’ambiente rispetto a tutte le altre specie viventi, ma pone il problema dell’instabilità degli ecosistemi umani. Là dove vivono troppi umani, in relazione alle risorse ambientali, si assiste sempre a migrazioni di carattere bellicoso verso altre comunità umane. La specie umana è l’unica tra i viventi che, fin dall’antichità, fa della competizione intra-specifica il centro delle sue preoccupazioni e delle sue attività. Nei 200 milioni di anni di storia terrestre occupata dai dinosauri, la fantasia della natura si è sbizzarrita nel produrre infinite varietà di punte e corni, ampi scudi ossei, enormi mascelle dentate, code attrezzate come magli per spezzare le ossa altrui, ecc… Si trattava di armamenti inter-specifici, sviluppati soprattutto nella competizione tra erbivori e carnivori. Ma tutto questo è nulla rispetto alla fantasia dei terrestri che in pochi millenni si sono strenuamente applicati nell’inventare tutti i tipi di armi destinate agli ammazzamenti intra-specifici, ovvero di altri umani. L’umano terrestre è l’unico animale che ha come peggior predatore, o nemico, il suo stesso simile.
Dal sito di adkronos riporto:
“La demografia ha un ruolo cruciale nel conflitto, così come la sua evoluzione nel corso del tempo. Entrambe le popolazioni sono cresciute nell’ultimo secolo, aumentando la tensione in un’area relativamente ristretta, soprattutto se si escludono le zone desertiche, inutili per gli insediamenti umani.
In Israele, la popolazione (composta da ebrei e arabi) è cresciuta in modo significativo nel corso degli anni. Nel 1950, la popolazione israeliana era di 1.370.000 persone, ma nel 2018 era aumentata di sei volte e mezza e oggi conta circa 9 milioni di abitanti. Si tratta dell’unica democrazia occidentale de facto con il tasso di fecondità più alto al mondo anche se con una importante differenza tra la componente ebraica e quella araba:
Entrambe le popolazioni hanno un tasso di fecondità ben più alto della media Ocse pari a 1,61 figli per donna.
Oltre alle ragioni socio-culturali che caratterizzano le tendenze demografiche di tutti i Paesi, qui la demografia ha anche un ruolo geopolitico ed è funzionale a prendere numericamente il controllo dei territori contesi.”
La stessa cosa si potrebbe dire in merito al conflitto del Kossovo, tra le popolazioni serbe e albanesi e i loro diversi tassi di natalità. Così come degli Hutu e Tutsi nel Ruanda.
Oppure preferiamo tornare alla storia antica ? “Delenda Cartago!” è il grido che nasce nel senato romano, quando, pur vincitori nella seconda guerra punica, i senatori si convincono che il Mediterraneo è troppo piccolo per due civiltà in crescita, evolute e affini come romani e cartaginesi. La terza guerra punica si concluderà con uno dei più grandi genocidi della storia antica.
E’ poi solo un caso che le due guerre mondiali siano avvenute in quel preciso periodo storico in cui l’umanità aveva appena trovato le chiavi per risolvere il problema più grande della crescita demografica, ovvero la mortalità infantile, grazie agli enormi progressi delle conoscenze e tecnologie mediche ?
E’ un caso che furono le guerre dove nacque la definizione di “armi di distruzione di massa” ? Il gas Iprite durante la prima guerra mondiale e la bomba nucleare durante la seconda. L’altra faccia di questa definizione è l’angoscia di essere in troppi a contendersi le risorse.
La Grande Guerra causò una rivoluzione dal punto di vista demografico, con un crollo della popolazione colmato solo dopo anni, e con una riduzione della consistenza delle generazioni interessate dal conflitto che si è trascinato per decenni, anche per sua la eco nel lungo periodo sulle mancate nascite.
Nonostante questo i terrestri oggi sono in numero di 8 miliardi su un pianeta che è diventato piccolo, causa l’esagerata impronta geopolitica ed ecologica di un umano moderno.
Possiamo dedurre, quindi, che ancor prima dell’affermazione universale della guerra, vista l’importanza che la regolazione delle numerosità delle diverse popolazioni umane ricopre, le culture di ogni parte della Terra abbiano sentito la necessità di mettere sotto controllo la numerosità delle nascite, prese tra due rischi estremi, il poco o il troppo. La paura di soccombere alle minacce ambientali (nell’articolo Save our Planet abbiamo già narrato come la specie umana nell’esiguo numero di mille individui fertili ha rischiato l’estinzione per un periodo lungo ben 150 mila anni). Oppure la scarsità di risorse per le nuove generazioni di popolazioni in vertiginosa crescita.
Anche l’evoluto pensiero greco, fondamento e crogiuolo di tante culture moderne, ci rivela quanto fosse importante la creazione di dispositivi culturali atti a realizzare il controllo del corpo delle donne e del suo magico potere creativo.
Il patriarcato e la guerra sembrano andare di pari passo. Entrambi tendono a prevalere sulle culture organizzate in senso matriarcale, nella misura in cui le popolazioni umane si accrescono a tal punto da rendere la competizione per la spartizione delle risorse tra gli umani più decisiva ed importante della competizione con tutti gli altri esseri viventi, vinta e stravinta già da tempo (ad eccezione forse per quelli piccoli piccoli, vedi alla voce pandemie).
Dato per scontato un nesso tra femminicidi e patriarcato, ciò che sfugge è di quale natura questo nesso sia oggi, nel 2023. Perché sicuramente ci sono stati grandi cambiamenti in senso migliorativo per la condizione della donna da quando le necessità procreative sono state contenute dall’abbattimento della mortalità infantile e da tutti i dispositivi tecnici e culturali per il controllo e la regolazione delle nascite. Fino al XX secolo tra un quarto e un terzo dei bambini non raggiungeva l’età adulta. Per la maggior parte morivano di qualche malattia infantile come difterite, morbillo o vaiolo. Ciò costringeva le donne a organizzare la loro vita in conseguenza del tasso di fertilità. Nell’epoca romana il tasso medio era di 6 figli per donna e di 50% di mortalità infantile. In più vanno considerate le gravidanze che si interrompevano durante il percorso. Ovvero, l’arco di vita fertile femminile nel passato era quasi totalmente assorbito dalle gravidanze, con tutto ciò che implicava in termini di dipendenza dal potere maschile.
I tassi di oggi in Italia sono del 1,24 figli per donna e di 2,5 per MILLE di mortalità infantile. Il passaggio a uno o due parti in tutto il periodo fertile ha costituito grande parte della rivoluzione antropologica iniziata nel secolo scorso. Una rivoluzione che ha permesso alla donna di rinascere a se stessa al di fuori della mono-significazione procreativa, nella pienezza dei diritti di un essere umano.
Ma allora i femminicidi che aumentano negli ultimi anni ? Potremmo pensare che è dovuto alla vendetta maschile o all’insicurezza per la perdita di potere, ma siamo sicuri che questo spieghi tutto ? Per alcuni versi anche il genere maschile ha tratto grandi benefici dal poter assumere un ruolo da protagonista nei confronti dei figli, non esclusivamente mediato da quello della madre. Dall’aver sdoganato la possibilità di non nascondere le emozioni per timore di apparire fragili. Dal ricevere un sostegno economico per mantenere i figli proprio grazie al lavoro della compagna.
Occorre andare a comprendere meglio la crisi d’ansia delle nuove generazioni che si affacciano alla vita adulta e che si esprime in modi vari e diversi. Una crisi che, come vedremo, tende a mantenere il corpo della donna ancora posizionato proprio su quella croce. Quella al centro dell’ispirazione visionaria di Pirner, nel suo dipinto.
Notizia di ieri: il tribunale di Marsala ha imposto il braccialetto elettronico ad un ragazzo vietando l’avvicinamento a meno di 300 metri da una ragazza per proteggerla dai suoi pesanti comportamenti da stalker. Ma lo ha imposto anche alla ragazza e contro la sua volontà, perché ad oggi non sembra percepire il pericolo e vuole continuare a frequentarsi con il ragazzo.
Che volete… sono terrestri!
Buon Universo a tutti.
Written by: mind_master
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