Radio K55
Data di pubblicazione: 01/12/2024 alle 19:17
Il Mago Sabbiolino e altri racconti
E’ passato un anno esatto da quando è stato commesso il femminicidio che ha avuto più risalto nei circuiti mediatici delle italiche genti. Quello di Giulia Cecchettin per opera di Filippo Turetta.
Cosa è maturato nel corso di quest’anno ? In coincidenza con la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 Novembre, si è tenuta la requisitoria del PM per sostenere le accuse a carico di Turetta. Il giorno successivo è toccato all’arringa della difesa che si è un pò arrampicata sugli specchi, come si usa dire qui sul pianeta Terra, per sostenere delle tesi audaci. Con lo scopo di ottenere le attenuanti generiche ha infatti sostenuto che non c’era stata premeditazione né crudeltà da parte del Turetta. E’ il gioco delle parti, però questo fatto ha suscitato molte polemiche.
“La memoria di Giulia è stata umiliata” ha detto il padre di Giulia dopo aver ascoltato l’arringa di difesa. Da più parti è stato evidenziato come in quest’arringa fosse stata condotta una vittimizzazione secondaria dell’omicida in grande stile, come spesso succede nei processi di femminicidio e in generale in quelli per violenza maschile sulle donne.
Vediamo cosa deciderà il giudice chiamato ad esprimersi a brevissimo, il 3 Dicembre prossimo.
Un memoriale che dice molto
E’ stato invece un omicidio efferato per le modalità che tutti conoscono, 75 coltellate, e per l’accurata e determinata preparazione di tanti dettagli. Anche se a questo sono seguiti altri femminicidi altrettanto e anche più efferati, quanto successo l’11 Novembre 2023, ha assunto però un ruolo paradigmatico in relazione al tema della lotta alla cultura patriarcale. Di questo ci siamo già occupati nella serie di articoli intitolata “Homo homini lupus”, di fine anno scorso. Però oggi abbiamo possibilità di aggiungere alle nostre riflessioni quanto è diventato pubblico nel trascorso anno. Nei mesi di carcere infatti, Turetta ha scritto un memoriale di 81 pagine, seguendo i suggerimenti dei suoi avvocati, per descrivere il suo punto di vista. Anche se il testo può essere stato scritto in coerenza con una strategia di difesa processuale, in psicologia è risaputo che ogni cosa che viene manifestata, svela comunque qualcosa del mondo interno dell’autore.
Questo testo parla poco e niente dei fatti accaduti e si concentra solo sulle sue sensazioni durante l’anno e mezzo di frequentazione della ragazza, per cercare forse di renderle umanamente riconoscibili anche se non giustificabili.
Secondo la psicologa clinica e criminologa forense Margherita Carlini, in questo memoriale si possono evidenziare alcuni temi. Li trovate su Fanpage.it del 26 ottobre scorso.
Tra questi, la Carlini sostiene che Turetta non nominando mai la ragazza con il suo nome ma solo con il pronome “lei” svela di averla così depersonalizzata sin dall’inizio della relazione. Leggiamo:
La ragazza non è una persona, con dei diritti, tra i quali quello di poter decidere di interrompere la relazione e di continuare la propria vita, coltivando le proprie passioni e realizzando i propri sogni, ma un oggetto che aveva senso di esistere solo se funzionale ai suoi scopi.
L’omicidio diventa quindi soluzione necessaria per eliminare alla radice l’insopportabile esperienza di frustrazione che la ragazza indirettamente gli impone sfuggendo al suo controllo.
Tremendismo e condannismo
Lo psicologo e psicoterapeuta Albert Ellis, precursore della psicoterapia cognitivo comportamentale, ha approfondito il concetto di intolleranza alle frustrazioni, facendo risalire questa caratteristica a delle convinzioni sbagliate che influenzano la percezione della realtà e che sarebbero responsabili di malessere emotivo e psicologico. Tra queste condizioni eccone alcune:
Chi è intollerante alla frustrazione ingigantisce qualsiasi contrattempo o inconveniente quotidiano. Si tratta di persone molto esigenti con se stesse e con gli altri.
Tra questi, sostiene poi Ellis, molti sviluppano una sorta di “tremendismo”, ingigantendo i problemi fino a vederli come catastrofi insormontabili. Ma anche di “condannismo”, ovvero, una tendenza a giudicare sé stessi o gli altri in modo assoluto e severo. Ciò, in analogia con il pensiero di Freud circa un certo tipo di funzionamento che può assumere il Super-Io. Ovvero, l’istanza psichica dove si condensano tutte le norme morali apprese e gli ideali di sé. In alcune persone, può estremizzare la sua funzione arrivando a imporre a sé e agli altri standard irraggiungibili, fino alla sadica perdita di contatto con ogni sentimento di umana empatia.
Il disumano nell’umano
Nell’anno trascorso, oltre a venire a conoscenza del memoriale, abbiamo potuto conoscere il contenuto di alcuni dialoghi via chat tra Turetta e Cecchettin in cui le parole del ragazzo corrispondono assai bene al concetto di tremendismo e condannismo. Ogni sua risposta alla ragazza tendeva all’estremizzazione. Con uso frequente di espressioni in cui si intravede la freddezza di un super-Io che ha perso il contatto con l’altro da sé.
Nel corso di un anno siamo anche venuti a conoscenza della storia dei due zaini. Durante il processo è emerso che Turetta si è incontrato con Giulia la sera dell’omicidio, portando con sé due zaini. In uno, c’erano un peluche di una piccola scimmietta, un libro illustrato e una piccola lampada che intendeva regalare a Giulia.
Ma nell’altro zaino rinvenuto nella sua auto, Turetta aveva inserito tutto ciò che poteva servirgli per immobilizzarla e ucciderla: coltelli, nastro adesivo, corda e sacchi di spazzatura per il cadavere.
Si può pensare che avrebbe usato il secondo solo a fronte di un tentativo di riavvicinamento ancora respinto, ma, in ogni caso, in quei due zaini possiamo leggere il grado di dissociazione del funzionamento mentale del ragazzo.
Il problema del Super-Io troppo esigente rientra principalmente nel trattamento delle nevrosi per Freud. Ma un aspetto dissociativo strutturato può ricondurre a un funzionamento psicotico e il particolare dei due zaini appoggia in questa direzione.
Ci sono persone che in certi momenti critici separano contenuti contraddittori del loro funzionamento mentale (ad esempio tenerezza e sadismo) in modo nitido e sistematico, potendoli vivere solo in alternativa esclusiva tra loro, come un interruttore della luce. E che il passaggio dall’uno all’altro è frutto spesso di eventi irrilevanti e casuali.
Si evidenzia un’incapacità di integrare questi contenuti opposti in un unico funzionamento che realizzi, magari a fatica, una moderazione degli estremi. Ovviamente, sono persone che stanno molto male e possono scaricare la loro distruttività sul malcapitato di turno.
L’adulto che intrappola
Ma, oltre a tutte le considerazioni di tipo individuale, occorre valutare anche il punto di vista di chi ritiene che l’intolleranza alle frustrazioni abbia un collegamento in modo specifico con il tempo attuale, in riferimento alle condizioni in cui nascono e si sviluppano le generazioni più recenti.
Stiamo parlando del sociologo Stefano Laffi, che nel suo libro “La congiura contro i giovani” del 2014, riflette sulla condizione delle nuove generazioni, analizzando come le aspettative e le pressioni sociali possano influenzare la loro capacità di affrontare le frustrazioni.
Laffi ribalta il concetto di “crisi giovanile”, suggerendo che il problema risieda invece negli adulti, incapaci di assumere la responsabilità di creare un mondo migliore per le nuove generazioni. I giovani sono intrappolati in una condizione di precarietà strutturale, non solo lavorativa ma anche esistenziale. Laffi denuncia come questa situazione non sia accidentale, ma il risultato di scelte politiche ed economiche che hanno messo il profitto e il consumo davanti al benessere sociale.
Il risultato è la tendenza a infantilizzare i giovani, riducendoli a consumatori passivi e dipendenti dalle proprie famiglie. Viene negato loro lo spazio per assumere ruoli attivi e responsabili, sia nel lavoro sia nella vita sociale e politica.
Tesi, questa dell’infantilizzazione, già molto cavalcata dal ben noto psicoterapeuta Massimo Recalcati. Per il quale la società contemporanea ha eroso le figure autorevoli, sostituendole con modelli di genitorialità iperprotettivi o amici dei figli, incapaci di incarnare il limite o il distacco. Oppure, anche dalla sociologa Sharon Huys con il suo concetto di “Genitorialità intensiva”. Ma il termine “Genitori Elicottero”, molto famoso, era stato coniato addirittura negli anni ’60, per indicare quei genitori eccessivamente coinvolti al punto da interferire con l’autonomia dei figli.
Ma facciamo ora una breve interruzione musicale sentendoci un pezzo dei Metallica che si intitola Enter Sandman. Sapete cosa significa ? Entra il mago Sabbiolino. Non proprio tranquillizzante, ma dopo vi spiegheró.
L’impossibile passaggio
Se torniamo a Turetta dopo queste considerazioni, colpisce pensare che, in effetti, il livello di infantilizzazione del ragazzo è stato confermato da moltissimi elementi. Non si tratta solo di citare, al solito, l’orsacchiotto di peluche con cui, pare, andasse a dormire. Ma piuttosto sono i contenuti dei suoi dialoghi in chat, o del suo stesso memoriale, che fanno pensare ad una maturazione fortemente rallentata se non del tutto bloccata da anni. Rivelano processi di pensiero ripetitivi e senza profondità umana. L’altro come Altro da sé, non si è costituito nello spazio di pensiero di un giovane già ventiduenne all’epoca del delitto.
Quando hai 14 anni si può dire che un ragazzo è un pò infantile ma nessuno ci fa caso. Ma quando hai vent’anni, e sei ancora intrappolato in un funzionamento affettivo tipico della prima infanzia, (onnipotenza, egocentrismo, eccetera) resta solo ritirarsi in una stanza come fanno gli HIKIKOMORI, oppure cercare qualcuno, un partner, che funzioni da sostituto materno, a cui aggrapparsi, proprio come i dialoghi delle summenzionate chat sembrano mettere in evidenza.
Turetta, non essendo riuscito nella seconda strada causa l’opposizione di Cecchettin, non si suicida come aveva immaginato di fare, forse perché inconsapevolmente sente di avere ancora a disposizione la prima strada. Di fatto si mette in salvo dal confronto con lo spaventoso e competitivo mondo adulto, proprio grazie all’omicidio di Giulia. In questo modo diventa un Hikikomori con un posto riconosciuto in società. Invece della camera da letto ha il carcere, ma il risultato è identico. Anzi, forse è quasi meglio essere considerati assassini per amore che scoprirsi fortemente strutturati in senso psicopatologico.
Il peluche che uccide
E’ solo un caso che la letteratura e la cinematografia umana negli ultimi decenni hanno creato una serie di racconti horror con al centro il tema dell’infanzia come elemento disturbante e terrificante ?
Citiamone qualcuno tra i più famosi:
Possiamo concludere che agli albori della società del benessere la creatività umana della seconda metà del 900 stava già preconizzando che l’impossibilità di uscire dall’età evolutiva, facendo ingresso nella condizione di autonomia e libertà della vita adulta, si può improvvisamente ribaltare nella distruttività più feroce.
Puoi avere un corpo nel massimo dell’efficienza muscolare e ormonale possibile a 20 anni, ma se la tua maturazione psichica si è fermata a quella di un bambino arrabbiato e spaventato, quella vitalità bloccata rischia di diventare un’arma pericolosa. Proprio come una pistola carica in mano a un bimbo di pochi anni.
Il Mago Sabbiolino
Molte di queste narrazioni hanno in comune un innocente oggetto infantile, come una bambola, che si anima diventando ferocemente cattivo.
C’è somiglianza con la storia del Mago Sabbiolino scritta dallo scrittore romantico Ernst Theodor Amadeus Hoffmann nel 1816. La vicenda racconta di Nataniele cui, da bambino veniva raccontata la storia di un mago che va dai bambini che si rifiutano di dormire e butta la sabbia nei loro occhi, accecandoli, per poi farli divorare da creature dal becco affilato. Nataniele diventa adulto, ma dopo diverse vicende si trova incastrato in una ossessione paranoica, che oscilla tra il reale e l’immaginario. Quando scopre che Olimpia, la ragazza di cui si è innamorato, è in realtà un automa creato da un personaggio che identifica nel mago Sabbiolino, si suicida in preda alla follia.
Sigmund Freud, 100 anni dopo utilizzerà questa storia per introdurre la figura del “Perturbante” di cui abbiamo accennato già nell’articolo “eccello o precipito ?”.
Il perturbante dunque insorge quando in un oggetto o in una situazione si uniscono caratteristiche di estraneità e familiarità in una sorta di “dualismo affettivo”. Esattamente come i giocattoli del mondo infantile dei film summenzionati, tanto innocenti e puri ma anche tanto minacciosi. A un certo punto, l’ambiguità di questi oggetti o dei bambini stessi, si palesa tutta insieme. Queste storie descrivono quel tipo di condizione in cui si sperimentano forti sentimenti sia positivi sia negativi nei confronti di qualcuno. Esattamente come il contenuto dei due zainetti di Turetta.
Misurare non è vedere
Filippo Turetta aveva 22 anni all’epoca dell’omicidio. Frequentava, ed è ancora iscritto, la facoltà di ingegneria biomedica, una delle lauree più promettenti per inserirsi nel mondo lavorativo. L’università era quella di Padova, una delle migliori d’Italia. Un percorso di successo dal punto di vista degli studi, certamente. Quindi Turetta è cresciuto in un contesto umano non certo disagiato, non certo povero di risorse.
La domanda che rimane sul campo è: ma in 22 anni, possibile che nessuno, i familiari, la scuola, gli amici, si è accorto che quel ragazzo non aveva sviluppato la minima capacità di farsi una domanda sulle contraddizioni del proprio mondo interno ? In un tempo, poi, dove si mangia pane e psicologia a pranzo e pure a cena?
E la scuola? come si fa a dichiarare maturo un ragazzo così?
In teoria, i familiari di Cecchettin potrebbero anche fare causa alla Scuola che lo ha diplomato dichiarandolo maturo. Giulia si è fidata anche di questo. Forse la vincerebbero. Visto che tra i compiti della Scuola c’è misurare il rendimento ma anche valutare la maturità personale.
La scuola non dovrebbe essere il luogo per eccellenza dove potersi confrontare anche sul tema delle relazioni affettive?
Una prova gigantesca dell’adolescente per inserirsi nella società, non è forse quella di sviluppare la capacità di investire pienamente la sua affettività su un umano extra-familiare per la prima volta nella sua vita, imparando ad accettarne tutte le imperfezioni? Non è questo un evento enorme e insieme fragilissimo per decidere della qualità della maturità personale ? Perché la scuola si comporta come se ciò non la riguardasse e poi pretende di dare etichette di maturità a destra e manca ?
Inoltre, è possibile che le attuali società umane siano capaci di condurre valutazioni solo su questioni di merito misurabili secondo criteri esclusivamente quantitativi? E quando occorre uscir fuori dalla misura di una prestazione non si sa più cosa dire di un essere umano, oppure ci si limita a formule standardizzate? Si tratta dello stesso posto dove si insegna la letteratura, la storia, la poesia e la filosofia?
Sono strani i terrestri.
Se qualcuno avesse visto quello che c’era da vedere nel tempo in cui c’era da vederlo, forse adesso Giulia sarebbe viva e Filippo avrebbe avuto una possibilità di rientrare nel mondo degli umani. Dietro queste situazioni c’è una catena di fallimenti di diverse persone, istituzioni, teorie, pratiche e culture. Non una soltanto.
Patriarcato certo, ma non solo
Giusto condannare il patriarcato per il fatto che le donne tutt’oggi in Italia non sono remunerate come gli uomini e non hanno le stesse possibilità di carriera degli uomini. Peggio, rischiano di passare per complici se vengono stuprate. Peggio ancora, vengono uccise all’interno di contesti culturali arcaici che si camuffano nella modernità. Volete un esempio di cultura patriarcale in Italia? Eccolo:
Ricorda ! Un solo dio, un solo uomo, e ti siedi per ultima a tavola !!!
Queste sono le vere parole con cui veniva educata una ragazza proveniente da una famiglia di ‘ndrangheta che, diventata donna, ha affrontato tutti i pericoli del mondo per salvare da quel destino se stessa e i suoi figli. E sono parole dette da sua nonna. Una nonna che, per amore verso di lei, è stata costretta a dirle nel suo interesse, per salvarla dalla certa ritorsione maschile, nel caso non fossero state interiorizzate a fondo. Eccolo il patriarcato nella sua forma più splendente.
Ma non deve diventare una parola-tappo. Una parola che non permetta di vedere altro. Considerare Turetta solo un figlio sano del patriarcato finisce per nascondere molto altro che va invece riflettuto ancora e ancora. Ridurre al patriarcato tutta l’insanità della questione è un altro modo per non vedere.
Ma forse è il solito Mago Sabbiolino, che butta ancora sabbia negli occhi degli umani.
Buon Universo a Tutti !
Written by: mind_master
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