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    Radio K55

Psicologia

Il naso degli umani pende verso destra

today20/04/2024 - 22:35 113 2

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Data di pubblicazione: 20/04/2024 alle 22:35

“Mia moglie sorrise e disse: «Credevo ti guardassi da che parte ti pende.» mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda: «Mi pende? A me? Il naso?»”. E mia moglie, placidamente, « Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra »”. 

Così Vitangelo Moscarda detto Gengè, trasecola all’affermazione della moglie circa la direzione in cui si sviluppa la forma del suo naso. Intorno a questo piccolo e insignificante scambio nella prima pagina del romanzo “Uno Nessuno Centomila”, si gioca un ribaltamento totale della senso dell’esistenza del suo protagonista.

E’ l’ultimo dei sette romanzi di Luigi Pirandello, da lui stesso inteso come sintesi spirituale dell’intera sua opera. Pubblicato ormai quasi 100 anni fa, come tanti capolavori letterari di quel periodo finisce per anticipare in modo visionario umori e temi di quanto sta per accadere al genere umano. Pirandello intuisce l’influenza che l’affermazione delle tendenze materialistiche dell’era post-industriale comporta sulla qualità delle relazioni umane del pianeta Terra. Gengè farà, di quel naso che pende, il punto di inizio di una rivoluzione nella sua vita finendo per apparire totalmente folle dal punto di vista materialistico dei suoi contemporanei. 

Ma un Gengè del 2024 sembrerebbe così folle? probabilmente no.

Di questo vogliamo parlare oggi prendendo spunto dal fatto che i giornali tendono a scrivere sempre più frequentemente articoli che trattano della particolare cesura che separa la generazione Z, i nati fino al 2010, dalle precedenti generazioni, in termini di ideali, comportamenti, valori e scelte esistenziali.

Possiamo riflettere su un’analogia tra le vicissitudini morali del protagonista del romanzo e alcune di queste scelte esistenziali. 

Una rivoluzione esistenziale 

Recentemente, il Corriere della Sera ha trattato l’argomento in un articolo firmato da Greta Sclaunich l’8 aprile scorso, focalizzato sul minor interesse della GenZ verso le app di dating motivandolo però da una sorta di ritiro in se stessi. Eccone alcuni brani:

“…c’è il rifiuto di far parte di una categoria e addirittura di definirsi. tra i ventenni italiani è in aumento la percentuale di chi non si dichiara eterosessuale e che, tra le ragazze, arriva fino al 20-25%. …Molti tra loro non si dichiarano nemmeno omosessuali e neanche fluidi: Il punto è che non si definiscono in nessun modo …La tendenza, per loro, è quella di essere se stessi e fare da soli”.

Repubblica, invece, ne ha parlato in un articolo del 15 Aprile di Maria Novella De Luca incentrato sul rifiuto della genitorialità da parte della genZ.  Ecco il tema trattato:

“ …È il movimento, non più carsico, chiamato childfree, enclave all’interno dei cinque milioni di coppie già senza figli in Italia, donne e ragazze, ma anche sempre più maschi, che apertamente dichiarano: «Bambini no grazie, non vogliamo riprodurci, non vogliamo essere madri o padri, non fa parte del nostro progetto di vita”.

Infine RivistaStudio, un magazine bimestrale sia online che cartaceo si è occupato dell’argomento in un articolo del 26 Marzo scorso con titolo che segue.

Come sta diventando grande la GenZ?

Da questo articolo Riportiamo:

Su TIKTOK c’è una battuta che circola per descrivere la generazione Z e che suona così: «Qual è il mio lavoro dei sogni? Tesoro, te l’ho detto varie volte, non ho un lavoro dei sogni: non sogno il lavoro»

…così continua l’articolo:

“il lavoro ha deluso le generazioni più giovani, tra stage non pagati, contratti sempre più precari e compensi semplicemente bassi, quindi a che cosa dovrebbero aggrapparsi? È, soprattutto, indice del fatto che la Gen Z non crede più che nel lavoro si nasconda il segreto per la realizzazione personale”

e poi prosegue dicendo che la GenZ non crede neppure nelle relazioni e cita alcuni giovani intervistati:

“confermano che tra i loro piani futuri non rientra di certo il matrimonio, ma che nemmeno riescono a immaginarsi di stare con una persona. Prima di tutto vengono loro, realizzati nell’equilibrio tra vita vera e vita lavorativa, poi magari si può pensare di stare insieme”.

Proteggi te stesso

Se mettiamo insieme gli argomenti esposti dai tre articoli suddetti risulta che, forse non la maggioranza, ma molti esponenti della GenZ, non credono più di trovare una realizzazione di se stessi nell’appartenenza ai ruoli sociali tradizionali. Quelli, per esempio, che derivano da calarsi pienamente nell’Identità di genere, nella vita lavorativa, relazionale e famigliare. Si sentono alienati dall’adesione a questi ruoli proprio come capita a Gengè, il protagonista del romanzo di Pirandello.

Il dilemma si potrebbe esprimere in questo modo: 

Se, per appartenere alla comunità in cui sono stato cresciuto, devo aderire a dei ruoli o stili di vita precostituiti che non sono affatto certo mi facciano sentire bene, preferisco allora rischiare di non appartenere, preferisco allora isolarmi. 

All’estremo di questo ragionamento ci sono le 150 milioni di visualizzazioni dell’hashtag #protectyourpeace su TikTok di cui abbiamo già parlato nell’articolo Tonight is gonna be the lonielest, giusto un anno fa. Un Ashtag che incoraggia le persone, soprattutto gli adolescenti, a stare lontani gli uni dagli altri.

La vita come collezione di istanti.

Accade cioè, nel 2024, che molti umani iniziano a concepire la propria vita come un eterno presente. Il valore di essere umani, con tutti i suoi significati, deve essere ricercato esclusivamente nell’istante vissuto. Tutto ciò che invita a pensare al futuro costringe a venire a patti con la collettività e i suoi ruoli. Quindi, viene percepito come vincolo, norma, ristrettezza, oppressione. Anche l’esperienza di avere un figlio, in quanto impegno che si protende al futuro, invece di essere immaginata come ricchezza dalle mille opportunità evolutive, si riempie di fantasie che la fanno percepire come una vita limitata e opprimente.

Il romanzo di Pirandello conclude con un paragrafo che si intitola appunto “Non conclude”. Da questo paragrafo, ecco alcuni pensieri di Vitangelo Moscarda, dopo che si è ritirato dalla collettività per vivere in un ospizio immerso nella natura:

“Nessun nome. Nessun ricordo oggi del nome di ieri, del nome di oggi, di domani. Se il nome è la cosa; se un nome è, in noi, il concetto d’ogni cosa posta fuori di noi; e senza nome non si ha il concetto…

(il nome) Conviene ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi la vita”.

Volto subito gli occhi per non vedere più nulla fermarsi nella sua apparenza e morire. Così soltanto io posso vivere ormai. Rinascere attimo per attimo.” 

Ovvero, l’anomia per liberarsi del mondo e il tempo concepito solo come avvicendamento di un istante con il successivo. 

Tornare al vitalismo precedente l’umano

La rinuncia alla significazione che nasce dal dispiegare l’agire degli uomini in una dimensione temporale è portata all’estremo nel protagonista del romanzo. Uno stato in cui l’essere umano torna a funzionare come puro organismo animale liberandosi dell’onere di dare un senso umano alla propria esistenza. Tentare una significazione di sé, infatti, costringe a venire a patti con i condizionamenti della collettività dove questi significati prendono forma. Condizionamenti, che in una certa misura comportano sempre un’alienazione del soggetto da se stesso, dai propri bisogni e desideri. Lo psichiatra e psicoanalista Jacques Lacan ha molto insistito sull’alienazione del desiderio soggettivo a favore del desiderio dell’Altro impersonale, con la A maiuscola, come effetto inevitabile dell’integrazione nella comunità linguistica di appartenenza. 

Ma la soluzione di Vitangelo Moscarda è estrema. A partire dall’osservazione della moglie sul naso, gradatamente si accorge che ognuno lo vede a modo suo, quasi fosse abitato da centomila persone diverse. Ma nessuna di esse corrisponde alla sua unicità e allora ecco la soluzione: rendere nessuno la totalità degli altri. Ecco la battuta finale del romanzo quando, ascoltato il suono delle campane della lontana città dove prima viveva, pensa di nuovo agli altri:

La città è lontana. Me ne giunge a volte, nella calma del vespro, il suono delle campane….Pensare alla morte, pregare. C’è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane. Io non l’ho più questo bisogno, perché muoio ogni attimo, io e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori.

Ma cosa c’entra Gengè con la GenZ ?

E’ solo un’analogia perché ci sono anche delle differenze. L’ultima battuta del romanzo ci mostra come Vitangelo, andando a vivere nell’ospizio fa fuori il mondo ma anche, contemporaneamente, fa fuori il proprio Io.  Mentre la tendenza culturale a cui è sottoposta la GenZ è quella di fare della difesa e della promozione dell’Io la bussola con cui orientarsi nella complessità del mondo. 

Però c’è un importante analogia. E’ quella che riguarda il “taglio” con il valore della partecipazione nel mondo e con l’investire senso ed energie in un tempo futuro. Le esigenze esclusive del presente e di “ciò che fa stare bene” diventano il nuovo idolo a cui votarsi.

Dall’articolo che abbiamo su citato, riportiamo di nuovo le parole della giornalista Eugenia Nicolosi, che nei seguaci dell’Hashtag #Protectyourpeace, in massima parte membri della GenZ, individua tanti novelli Gengè :

“È una cultura del “taglio” che spinge verso il completo isolamento per “concentrarsi su se stessi” e al massimo lavorare, postare un video in cui mangiano insalata o allenarsi. L’obiettivo è quello di chiudersi a qualsiasi interazione o influenza esterna che potrebbe distrarre dal cosiddetto auto-miglioramento – ovvero, palestra, alimentazione sana, auto analisi, crescita personale”.

Ma l’isolarsi corrisponde al non voler o saper confrontarsi con una società complessa fatta di persone complesse che hanno lati positivi e lati negativi, e quindi, dietro l’apparente buona intenzione di proteggere la propria salute mentale, l’Hashtag in questione contrabbanda una pseudo-soluzione che invece mette gravemente in pericolo la stessa salute mentale che pretenderebbe di proteggere.

Sacrificio viene da sacro

C’è in queste parole un cenno alla follia. Tema caro anche a Pirandello, che sempre ricorre nelle sue opere.

Gengè sacrifica il proprio Io e la propria natura umana per tornare a quella animale, che vive esclusivamente l’istante presente. La genZ, o meglio, quella parte della cultura contemporanea che considera un peccato mortale sacrificare qualcosa di se stessi, finisce per rendere gli umani simili ad un animale solitario, come una tigre, che vive di istanti e di azioni finalizzate a se stessa. Il sacrificio qui è della componente relazionale dell’umano.

Ma nell’etimologia di sacrificio, vi è il significato di “rendere sacro”, ovvero contrapporsi al profano salvando da esso qualcosa e dedicandolo ad un valore più alto di ciò che governa le necessità mondane. Sacro è la tensione verso un ideale, un amore, una fede, un compito sociale, una famiglia, o ancora altro. Sono tutte disposizioni che implicano sempre la necessità di rinunciare a qualcosa di sé per coltivare un valore che va oltre. Oltre il proprio interesse particolare, oltre il proprio godimento, oltre le mode, oltre il disumano che assedia l’umano un po’ dovunque.

Sacrificare parte di sé espone a una perdita e quindi è doloroso. In cambio, porta in dono una certa possibilità di dare significato alla propria esistenza. Uno sforzo di significazione che però non si completa mai. Non è mai conquistato una volta per tutte. Bisogna sempre instancabilmente rinnovarlo o almeno provarci. Uno sforzo comunque ineludibile se si vuole portare a compimento la natura di un essere umano. L’unico organismo che vive DEL significato e PER il significato. Di un atto, così come di un’esistenza. Ma non c’è significazione senza riconoscimento reciproco, senza appartenenza al comune, al condiviso, al collettivo. Nati come umani e non come tigri, solo dando un senso condivisibile alla propria azione si è capaci di lasciare traccia del proprio breve apparire sul globo terraqueo. E si è capaci di lasciare qualcosa da offrire in eredità alla generazione che segue perché, a sua volta, lo arricchisca dei suoi significati e compia il gesto di porgerlo verso il futuro. 

L’eredità di Gengé

La visione di Pirandello non lascia speranze. In molte sue opere il solo modo per recuperare la propria identità è la follia. Solo il folle può avere un’esistenza autentica e vera. La follia come forma di contestazione delle falsità della vita sociale. Altrimenti, la rassegnazione, intrisa di amaro sarcasmo, che porta ad accettare passivamente il ruolo da recitare sulla scena dell’esistenza. 

C’è qualcosa di folle anche nei movimenti di pensiero contemporanei come Protectyourpeace, dice Nicolosi. Un pensiero che, deluso da ogni valore comune, tenta disperatamente di fondare ogni valore su se stessi.

Le ultime parole dell’ultimo paragrafo dell’ultimo romanzo dell’autore siciliano su riportate sono estreme al punto da diventare caricaturali. Allo stesso modo, un’idea portata all’estremo, come quella di vivere al servizio del proprio Io, idolatrandolo, apre la strada alla possibilità della sua falsificazione.  Al desiderio di dimostrare che è un’idea caricatura.

Si può, quindi, perfino pensare che quelle parole nel romanzo sono lì apposta. Grottesche al punto giusto per passare il compito a qualcun altro che abbia la forza di credere altro. 

Allo stesso modo, si può anche pensare che le estremizzazioni contemporanee del pensiero che valorizza solo l’Io sono lì apposta. Come un’inconsapevole provocazione, segnalano il disagio di questa generazione e richiamano gli umani che verranno al compito di trovare soluzioni che ora non si intravedono. Soluzioni che, oscillando tra gli estremi della follia e della rassegnazione, permettano di continuare a credere in un umano convivere degno di tale nome. 

Qualcosa tipo saper accettare l’alienazione dalla propria identità che il vivere comune porta con sé, almeno parzialmente. Saper accettare l’alienazione dal proprio desiderio o almeno la limitazione della sua soddisfazione. Ma pur sempre lottando per inseguire l’una e l’altro. Pur sempre sapendo che difficilmente si possono raggiungere compiutamente e mai una volta per tutte. 

Questo è atto profondamente umano, indipendentemente dall’esito.

Alienazione per alienazione… fatevelo dire da un alieno.

Buon Universo a tutti !

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Written by: mind_master

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