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La Leggenda del Grande Inquisitore

today30/06/2024 15

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La leggenda del Grande Inquisitore

Nel centro di Pescara, il parco dedicato al fondatore del movimento degli Scout, Baden Powell, domenica scorsa è stato la sede di quanto più lontano dallo spirito scoutistico si possa immaginare.

Un sedicenne è stato ucciso con 25 coltellate inferte da due diciassettenni e di ciò si è parlato per tutta la settimana scorsa sui giornali e nei salotti televisivi.

Il rilievo di questo atto è dato dalla sproporzione tra la gravità del gesto, i futili motivi e la ricaduta tragica su protagonisti e famiglie. Infatti il motivo della condanna a morte consisteva in un debito di 250 euro che il sedicenne non aveva restituito. Bilancio: un minorenne ucciso e circa 16 anni di carcere probabili cui saranno condannati almeno altri due minorenni.

Tra rinunciare a 250 euro e farsi dare 16 anni di carcere c’è una bella differenza. In tanti casi di cronaca nera recenti è rintracciabile questa sproporzione tra gesto e conseguenze. Anche liberandoci da ogni implicazione morale, volendo considerare cioè esclusivamente l’egoistico interesse del protagonista, tutto ciò appare assurdo.

Dissociazioni

Appare assurda questa radicale dissociazione tra l’impulso distruttivo e le sue conseguenze. A questo effetto dissociativo forse possiamo assegnare un ruolo all’uso abituale di sostanze psicoattive, in questo così come in altri delitti. L’effetto cumulativo che le droghe leggere e pesanti operano sulla mente di una persona che ne fa uso da anni è noto. Le aree delle funzioni cerebrali deposte all’integrazione delle svariate fonti di stimolazione nervosa, tra percezioni emozioni ed agiti, perdono neuroni, e quindi volume cerebrale, a causa dell’uso di droghe. Fatto ormai testimoniato dai diversi studi basati sulla risonanza magnetica delle aree cerebrali di chi assume continuativamente sostanze. Se le aree cerebrali deposte al controllo e all’inibizione dell’azione si indeboliscono progressivamente accade che le emozioni si traducano direttamente in agiti. In alcuni ragazzi più esposti, per motivi naturali o familiari, ciò può incidere notevolmente rendendo più facile la dissociazione tra un atto e le sue conseguenze.

In questo caso, però, non sappiamo con certezza né se i due diciassettenni fossero sotto l’effetto di una sostanza al momento del delitto, né quanto fossero abitualmente implicati in questo uso e da quanti anni. Da alcune interviste che circolano sui giornali agli adulti che li conoscevano sembra che hashish e psicofarmaci fossero abituali per almeno uno dei due, il più implicato nell’ideazione del delitto. Inoltre la vittima stessa consumava e praticava lo spaccio di sostanze. I 250 euro erano proprio dovuti per questo. Quindi è probabile una correlazione tra l’omicidio e questo mondo di fenomeni mentali di tipo dissociativo. Però non possiamo essere certi delle notizie che circolano ora, perché si è ancora sotto l’effetto sensazionalistico dato dall’efferatezza del delitto.

Delitto e Castigo

Ma c’è un altro elemento che vale la pena di riflettere.

Qualche ora dopo aver compiuto l’atto, il principale protagonista del delitto si è fatto fotografare in spiaggia in una posa apparentemente rilassata e a un tempo esaltata, con il pugno sul cuore. A vedere questa posa sembra quasi che il protagonista si sentisse sollevato da un peso. Altra assurdità, nel momento in cui nulla sarà più uguale a prima nella vita sua e della sua famiglia.

Per provare a comprendere un poco dell’assurdo che si infiltra in ogni fessura delle vite umane, torna in mente una storia che questi temi li ha sviscerati assai profondamente. E’ un famoso romanzo di un’epoca dove le droghe non avevano il grande ruolo nella vita degli uomini di oggi. C’era l’alcool ad occuparne il ruolo, ma gli effetti erano comunque differenti.

Il romanzo di Fëdor Dostoevskij narra di un duplice omicidio. Il primo dei due premeditato, come sembra sia stato quello del parco Baden Powell. Raskolnikov ammazza a colpi d’ascia un’usuraia verso cui aveva un debito e poco dopo la sua sorellastra perché intervenuta sulla scena del delitto. Il movente dell’omicidio è ristabilire un proprio senso di giustizia facendo fuori quell’usuraia che tanti studenti teneva in scacco. Ma anche l’affermare, con questo gesto, di essere superiore agli uomini comuni e alla loro concezione di giustizia, solo apparente. Inoltre, affermare il disprezzo per la limitazione che la morale comune impone agli uomini straordinari cui lui si sente di appartenere, in linea, per alcuni versi, con la concezione del Superuomo del filosofo Friedrich Nietzsche.

A partire da ciò, nello sviluppo del racconto, Dostoevskij farà emergere il tema etico che gli sta a cuore e che può essere ricordato con le sue stesse parole:

«Nel mio romanzo vi è inoltre un’allusione all’idea che la pena giuridica comminata per il delitto spaventa il criminale molto meno di quanto pensino i legislatori, in parte perché anche lui stesso, moralmente, la richiede.»

(Dostoevskij, Lettere)

Accade infatti che Raskolnikov, nel corso della storia, si disporrà gradualmente ad incontrare il suo castigo, la condanna al carcere, perché questo coincide con la sua volontà più profonda.

Esaltazioni

Tornando a Pescara, non sappiamo se l’evidente superficialità che i due giovani protagonisti hanno messo nelle modalità in cui si sono comportati, sia nel progettare il delitto che nel gestirlo, ha a che vedere con la ricerca inconscia di un’espiazione della loro violenza distruttiva. Raskolnikov, era stato molto più accurato di loro nel progettare e realizzare l’assassinio per evitare di essere scoperto. Solo gradualmente, durante lo svolgersi del racconto, diventa consapevole di questo profondo desiderio di espiazione. Come se il tremendo castigo del carcere fosse il solo mezzo di espiare per intero la distruttività di cui era portatore, già ben prima del delitto, e di diventare così umano fino in fondo.

Ma in comune alle due storie c’è almeno l’elemento dell’esaltazione dell’Io. Sembra infatti che il movente dell’omicidio del Parco Baden Powell non fossero i soldi bensì il “rispetto” mancato dalla vittima nel non restituirli. Se a questo aggiungiamo la posa esaltata sulla spiaggia abbiamo una conferma della necessità psichica di alimentare un’immagine di sé di essere superiore, come nel movente di Raskolnikov.

Dove c’è esaltazione di sé, in modo così strutturato, possiamo dedurre che ci sia un vissuto di grande fragilità che questo stato esaltato deve occultare agli altri e a se stesso. Del ragazzo che ha ideato il delitto si racconta, nell’intervista su citata, che due anni prima avesse tentato il suicidio e che da allora vivesse in uno stato mentale degradato tra droghe e psicofarmaci. Nell’articolo Ammazzatoi e dintorni dell’ottobre scorso abbiamo già trattato come il dare la morte a qualcuno possa svolgere un effetto esaltante in quelle persone che hanno un’immagine di sé molto svalutata. Però a questo punto dovremmo entrare nella storia di questo ragazzo. Ma comprendere a fondo il suo percorso personale compete ad altre funzioni e ad altri contesti. E’ invece possibile riflettere quali sono le premesse impersonali che fanno da sfondo a questo genere di delitti.

Un Raskolnikov del 2005

“Delitto e Castigo” è stato scritto nel 1866, quando i riferimenti collettivi sulla moralità erano molto diversi dagli attuali. Basti pensare che dopo qualche anno, nella “Gaia Scienza” Nietzsche annuncerà “La morte di Dio”, proprio per sottolineare come l’umanità avesse iniziato una radicale trasformazione di tutti i suoi riferimenti morali e spirituali sotto la pressione della rivoluzione razionalistica derivante dai progressi scientifici e tecnologici in corso.

Per sottolineare questo cambiamento della morale corrente possiamo guardare a un Raskolnikov moderno questa volta tratto dal cinema, ovvero Chris Wilton. Chris è il protagonista del film “Match Point”, di Woody Allen. In questo film ci sono tanti riferimenti a Delitto e Castigo. Anche qui un duplice omicidio di donne ad opera del protagonista. In una scena troviamo addirittura Chris che legge appunto il romanzo di Dostoevskij. Ma nel finale le cose vanno molto diversamente dal romanzo. Il Raskolnikov del 2005, anno di uscita del film, si comporta in modo molto diverso. Non è affatto interessato ad andare incontro alla sua pena nonostante sia visitato in sogno dai fantasmi delle due donne uccise. Si libera con leggerezza del senso di colpa perché il delitto è stato “necessario”. Il criterio dell’utile personale ha abolito la domanda morale sul senso di colpa nel protagonista. Nel sorprendente finale, la fortuna gli permetterà di rimanere impunito e di avvantaggiarsi del duplice omicidio promuovendo una conclusione opposta a quel romanzo cui fa continuamente riferimento.

Possiamo leggere il commento di Woody Allen tra le righe: se nel 2005 rinascesse Raskolnikov non si farebbe più scoprire e continuerebbe a vivere tranquillo e gaudente.

Esaltazione della morale individualista.

Era “necessario” risponde Chris ai fantasmi delle donne uccise che vengono a interrogarlo in sogno. Necessario perché coerente con il fatto che la morale collettiva si è evoluta focalizzandosi esclusivamente sul principio dell’utilità individuale. Non occorre quindi riferirsi ad un principio di benessere dato dalla coesione sociale, dalla solidarietà collettiva. Quello che fa stare bene l’individuo contemporaneo si autorizza da sé per il diritto a promuovere il proprio interesse, sempre e comunque. Non c’è bisogno di un principio autorizzativo esterno, o almeno condiviso nella cultura di appartenenza.

Il ragazzo omicida del parco Baden Powell è autorizzato nel suo uccidere per una questione di rispetto e quindi di prestigio all’interno del gruppo di appartenenza. Chris Wilton, il protagonista del film, per una questione di mera convenienza materiale. Sono sufficienti come criteri autorizzativi per i due protagonisti.

Invece Raskolnikov prima dell’omicidio deve autorizzarsi costruendo un valore morale, autoreferente e folle, ma comunque in relazione al bene collettivo. Liberare il mondo da quell’usuraia e così contestare, del mondo, il concetto di giustizia ipocrita che aveva permesso a quell’usuraia di sfruttare gli altri. La morale di Chris e anche del ragazzo è invece questa: se non ti fai scoprire, è lecito fare qualsiasi cosa. Questa è una grossa differenza nel processo autorizzativo che fa da premessa a tutti quegli atti che precedono l’omicidio. Sono due forme di follia differenti: costruirsi una morale autoreferente come fa Raskolnikov, oppure muoversi nella convinzione che il riferimento morale sia esclusivamente il proprio interesse personale. Chi pensa in questi modi esprime un certo tipo di follia. Perché è nato e cresciuto all’interno della specie umana, una specie sociale. Dove ogni atto prende significato dal riconoscimento condiviso di valore dai propri simili.

Questo dilemma è ancora più evidente nell’ultimo romanzo di Dostoevskij, I fratelli Karamazov del 1879.

Ivan Karamazov

L’idea tormentosa che aleggia su tutte le pagine del romanzo è espressa da uno dei quattro fratelli, Ivan, nel libro quinto, che parlando con l’unico dei suoi fratelli che ha scelto la via religiosa, dice:

Se Dio non esiste allora tutto è permesso.

In particolare, nel capitolo intitolato “Il Grande inquisitore” Ivan racconta una leggenda in base al quale Cristo torna sulla terra all’epoca dell’Inquisizione e viene subito arrestato. Il Grande Inquisitore, un anziano cardinale, visita Gesù nella sua cella e lo interroga. In un lungo monologo, il Grande Inquisitore spiega a Gesù che la Chiesa non ha bisogno di Lui perché ha scelto di dare agli uomini la sicurezza e l’ordine piuttosto che la libertà e il libero arbitrio offerti da Cristo. Il giorno dopo sarà quindi condannato a morire sul rogo.

Questa leggenda ha qualcosa di profetico, perché è indubbio che l’aspettativa di trovare sicurezza e ordine dai progressi delle conoscenze scientifiche e delle conseguenti ricadute economiche e tecnologiche ha preso il posto del sentimento collettivo del divino. Non c’è neanche bisogno di scomodare un’organizzazione superiore che controlli tutto. Nella leggenda è la Chiesa, nei numerosi film e romanzi del 900, che abbiamo citato negli articoli precedenti (Metropolis, Tempi Moderni, Blade Runner, Matrix, ecc…) sono sistemi centralizzati per il comando e l’oppressione degli umani. Ma sono fantasie del tutto sovrabbondanti rispetto alla realtà. E’ evidente che molti umani, da soli, spontaneamente, si sottomettono ad idolatrare il successo individuale, il consumo personale, il possesso materiale come unici valori degni di essere perseguiti. E così facendo ne diventano in qualche modo schiavi. Se l’idolatria del mio Io mi procura 16 anni di carcere quando sono ancora un minorenne allora vuol dire che sono schiavo di questa idolatria. Anche se posso avere motivi e giustificazioni molto personali per caderci dentro, indubbiamente la cultura di riferimento dominante non mi protegge, anzi mi cattura e mi assoggetta.

L’individuo come valore da adorare

Lo scrittore russo riesce in questa “Leggenda” a dare espressione compiuta alla riflessione sull’umano che attraversa tutte le sue opere. Se non c’è un riferimento morale condiviso, allora ogni uomo è il riferimento morale di se stesso e, quindi, ogni azione che l’uomo decida di compiere, diventa “morale” in se stessa.

Ecco alcune sue parole tratte dal “Diario di uno scrittore”:

“Giungeremo a poco a poco alla conclusione che i delitti non esistono affatto, e di tutto ha colpa l’ambiente. Giungeremo, seguendo il filo del ragionamento, a considerare il delitto persino come un dovere, come una nobile protesta contro l’ambiente”.

Proprio come nei pensieri di Raskolnikov. Ma ascoltiamo ancora le sue parole:

“vivere senza Dio è un rompicapo e un tormento. L’uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa. Se l’uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti ad un idolo. Siamo tutti idolatri, non atei”.

L’idolo del momento

Cancellare la parola ateo con l’idea invece di essere tutti idolatri di qualcosa è un pensiero molto profondo, indipendentemente dalla sua verità. Consideriamo che viene formulato alla fine dell’800 quando ancora non era esplosa quella teoria di idolatrie collettive che attraverserà il 900 e fino ai giorni nostri per stabilizzarsi nella forma attuale, più o meno globalmente condivisa, di idolatria del benessere individuale. Ma Dostoevskij non aveva solo una visione totalmente catastrofica di questa morte del divino, quanto, forse, quella di una specie di prova che l’umanità doveva attraversare. Infatti, pur se mai certo fino in fondo dell’esistenza di Dio, lo chiama il rompicapo, ha sempre continuato a cercare il divino e a credere nella sua possibilità.

La Leggenda del Grande inquisitore infatti si conclude con un’apertura. Cristo non interrompe mai il suo accusatore e non dice una parola. Solo, alla fine, lo bacia sulle labbra senza rancore. E il grande inquisitore ne è sconcertato. E’ un gesto così fuori dalle sue categorie di senso, che rimane profondamente turbato da Cristo e da quel qualcosa di inafferrabile che porta con sé. Non rinuncerà al proprio ruolo di sacerdote idolatra della sicurezza e dell’ordine, ma comunque lo lascerà andare rinunciando alla condanna a morte. Il non senso dell’idolatria non può superare il senso di un gesto d’amore.

Basta per oggi. Ecco un brano della canzone La cattiva Strada di De Andrè che si presta a chiudere al meglio :

Ad un processo per amore

Baciò le bocche dei giurati

E ai loro sguardi imbarazzati

Rispose “Adesso è più normale

Adesso è meglio, adesso è giusto, giusto, è giusto

Che io vada”

Ed i giurati lo seguirono

A bocca aperta lo seguirono

Sulla sua cattiva strada

Sulla sua cattiva strada

 

Buon Universo a Tutti.


Written by: mind_master

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