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Stanlio e Ollio superstar

today19/05/2024 139 1

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Stanlio e Ollio superstar

Per provare a rendere comprensibile qualcosa degli strani accadimenti sul pianeta Terra nell’attualità, abbiamo spesso fatto riferimento, negli articoli passati, ad opere letterarie, filmiche o musicali, in genere del secolo scorso, che hanno avuto la capacità visionaria di anticipare qualche aspetto di quella grande rivoluzione antropologica che sta trasformando ogni dove della vita umana sul pianeta, ormai da qualche decennio. Una rivoluzione che ha messo in violento contrasto tradizione e innovazione producendo così un diffuso malessere i cui effetti sono evidenti soprattutto nelle nuove generazioni. 

Oggi rifletteremo ancora su questa linea ricollegandoci ad un evento di pochi giorni fa.


Il 30 aprile scorso abbiamo saputo della morte di Paul Auster. Letterato poliedrico è stato un intellettuale che, pure se di genitori europei, si è spesso interrogato sul destino del paese che gli ha dato i Natali, l’America. Al punto che Wikipedia lo cita insieme a Lou Reed e Woody Allen come

 “uno dei più famosi “cantori” della Grande Mela”. 

ovvero quel centro della vita culturale americana che si identifica con la vita cittadina di New York.

Ma la sua riflessione di fondo sull’umano è stata di tipo esistenzialista e forse ciò ha fatto sì che diventasse più conosciuto ed apprezzato in Europa. I lettori europei mostrano spesso un forte interesse per i temi esistenziali e per l’esplorazione filosofica. Sicuramente maggiore del gusto dell’americano medio, orientato su narrazioni più convenzionali.

Le sue opere più note sono sicuramente alcuni romanzi, ma ci sono anche opere teatrali. Tra queste, ce n’è una di cui vogliamo parlare oggi, forse meno conosciuta delle altre. E’ stata tradotta, infatti, solo in francese e la versione originale in inglese è venduta in una versione economica paperback di 38 pagine, un testo abbastanza contenuto.

Laurel and Hardy go to heaven

Quindi Stanlio e Ollio sono i protagonisti scelti da Auster per dare vita a quest’opera che si può inquadrare nel teatro dell’assurdo. Dove lo spazio e il tempo in cui si svolge la scena sono imprecisati e imprecisabili esattamente come nel più famoso “Aspettando Godot” di Samuel Beckett. 

Ma la scelta di Stanlio e Ollio come protagonisti è particolare e occorre prendere un tempo per rifletterci su.

Stan Laurel e Oliver Hardy fanno parte dell’epopea di artisti comici che hanno accompagnato il passaggio dell’umanità dal film muto al sonoro. Artisti che, spesso, proprio in questo passaggio hanno trovato la loro caratterizzazione più forte. Tutti i più grandi di loro si sono adattati al sonoro. Chi prima, come i Fratelli Marx con i loro dialoghi rapidi e i loro giochi di parole. Chi dopo, come Charlie Chaplin che, nonostante le sue resistenze, verso la fine della parabola artistica riuscì a creare opere di valore anche utilizzando il sonoro. 

Stanlio e Ollio se la cavarono bene con entrambi. Con l’avvento del sonoro ebbero ancora più successo. La loro comicità era fondata su un principio differente da quella dei fratelli Marx, fortemente sfidanti verso l’autorità fino all’anarchia e critici verso ogni genere di conformismo. Ma i due si distinguevano anche dalla comicità del personaggio di Chaplin. Charlot infatti, operava una ribellione sottile contro l’autorità vivendo sempre ai margini della società grazie alla sua ingenuità e al suo spirito libero. All’opposto, il desiderio massimo di Stanlio e Ollio era quello di riuscire a conformarsi il meglio possibile alla normalità. Almeno nelle intenzioni. Il loro problema era che non ci riuscivano mai. 

Apologia dell’inettitudine

Ogni storia del duo, infatti, inizia con il proposito di compiere qualche cosa che li faccia sentire perfettamente adeguati, uguali agli altri. Assimilati alla norma, nella media che rassicura e contiene. Ma la loro goffaggine manda sempre tutto per aria perché fa sì che, all’opposto, si trovino  in situazioni del tutto anormali. Involontariamente, finiscono per essere visti dagli altri come gli “strani” di turno. Se sul piano scenico ciò suscita ilarità, i loro fallimenti inducono lo spettatore a provare simpatia perché è indubbio che Stanlio e Ollio sono sempre profondamente uguali a loro stessi. Sempre genuinamente autentici nella loro inettitudine. Grazie a questa natura non possono essere conformisti neanche a volerlo. Risultano così, incredibilmente, essere tra i personaggi più liberi e autentici che si aggirano sul pianeta Terra. Perché anche quando provano a imitare la normalità, lo fanno a modo loro, un modo del tutto unico.

Ora, cosa fa Paul Auster nella sua opera teatrale ? Fa risvegliare questi campioni di libertà in un giorno imprecisato di un luogo imprecisato, un improbabile paradiso. Dove al risveglio di ogni nuovo giorno, ci sono delle fantomatiche “istruzioni della giornata” da cui trarre il proprio compito che, fondamentalmente, si riduce ad accumulare mattoni per erigere un muro. Un compito insensato anche per il modo in cui viene presentato. Pure intervallato da pause per compiere degli altrettanto insensati esercizi fisici e spirituali, così come per consumare un pranzo assurdo. 

Apologia dell’adempimento

Adempiere al compito insensato è l’unico scopo della loro giornata. Ollio si trova quindi a cercare di fondare tutto il senso nel modo in cui fa le cose senza senso:

“Voglio imparare una volta per tutte a fare la cosa che deve essere fatta. Se devo alzare una pietra, voglio imparare a non pensare a nient’altro che alla pietra. Voglio capire che l’energia che ora ho perduto appartiene alla pietra…”

In altre parole, i due si adattano a cercare di essere normali il più possibile anche in questo posto, conformandosi alle istruzioni e sempre bisticciando come nei loro film. 

L’opera termina con un tentativo di ribellione al compito e di riflessione sulla natura di quel tipo di esistenza. Stanlio dice infatti:

Ma non avresti voglia di sapere esattamente, una volta per tutte dove ci troviamo ? se adesso smettessimo di lavorare non credi li costringeremmo a reagire ?

questo “li costringeremmo a reagire” postula l’idea che ci sia qualcun altro in questo paradiso la cui presenza però viene solo immaginata perché non si concretizza mai veramente. 

Rimangono solo le istruzioni a testimoniare l’esistenza dell’altro. Un altro impersonale e vessatorio. Che opprime in quanto mai compare sulla scena lasciando il dubbio di non esistere del tutto.

Da questa oppressione neanche Stanlio e Ollio si salvano, perché l’idea di ribellione al compito sarà abbandonata e il giorno dopo tutto comincerà come prima. 

Dalla società disciplinare….

I tempi di Stanlio e Ollio sono stati anche i tempi di film di grande successo a proposito dei temi tipici delle società industriali. 

Basta pensare al film distopico Metropolis di Fritz Lang, che situa gli avvenimenti 100 anni dopo la sua uscita del 1927, ovvero nell’ormai prossimo 2026. Oppure al film “Tempi Moderni” di Charlie Chaplin dove tra le altre scene c’è quella di un pranzo grottesco come pausa lavorativa. Una macchina robot compie ogni micro-atto necessario per portare a termine il compito di nutrire l’operaio in pausa, compreso il gesto finale di ripulire con un tovagliolo la bocca dell’operaio, ovviamente il nostro Charlot.

Sono state opere che facevano ancora parte dell’epica del film muto. 

Entrambe danno una descrizione del mondo secondo l’accezione della Società Disciplinare. Questa definizione fu originariamente introdotta da Michel Foucault per descrivere una società caratterizzata da un potere disciplinare che sottopone il soggetto ad una serie di regole, obblighi e divieti per primari motivi di ordine pubblico. Ma è stata di recente ripresa dal filosofo Byung-Chul Han nei suoi testi più famosi, ovvero “La società della stanchezza” e “Piscopolitica”, per indicare una società in cui anche il lavoro viene sottoposto a puntigliose funzioni di sorveglianza e controllo.

…alla Società della Prestazione

L’affermazione su scala mondiale del neoliberismo avvenne negli anni 1970-80, quando le politiche interventiste non ottennero più gli effetti desiderati. Si imposero allora le idee di deregolazione e i limiti e divieti della società disciplinare diventarono obsoleti. E’ in questo periodo che l’inconscio sociale passa dal “dover fare” al “poter fare” e la società disciplinare sfuma in una “Società della Prestazione”. Tuttavia il poter fare non annulla la sorveglianza sui doveri, sostiene Byung-Chul Han, ma la interiorizza. La fa diventare un’istanza interiorizzata. L’imperativo della prestazione diventa il nuovo obbligo della società tardo-moderna. In questo modo l’eccesso di lavoro e di prestazione aumenta fino all’autosfruttamento. Nel 1971 per la prima volta viene usata l’espressione “Sindrome da workhaolism”, ovvero la dipendenza da lavoro. L’espressione Burnout che prima veniva usata solo per lo sport agonistico, proprio dagli anni 70 comincia ad essere applicata anche per situazioni di lavoro. La diagnosi di sindrome da Deficit di Attenzione e di Iperattività, il famoso ADHD, di cui oggi si fa un uso estensivo ogni qualvolta si riscontra un problema di rendimento scolastico, comincia a comparire proprio negli anni ’80. 

Così se la società disciplinare, dominata dal no, produceva pazzi e criminali, la società della prestazione, invece, genera soggetti depressi e frustrati, sostiene Byung-Chul Han.

Il paradiso di Auster accenna all’inferno in Terra

Il centro della riflessione di Auster è come abbiamo detto esistenzialista. La ricerca dell’identità personale e del senso del proprio agire è centrale. Ma ciò che viene pensato e detto può solo in parte rappresentare ciò che viene sperimentato nel proprio mondo interiore. Quindi c’è sempre qualcosa che sfugge in questa ricerca. Paradigmatici, al proposito, i tre romanzi della “Trilogia di New York”. Inoltre la dimensione umana è sempre in balia del caso, dell’imponderabile. Vedi al proposito “La Musica del Caso” dove torna anche il tema del muro di mattoni, oppure il saggio “l’invenzione della solitudine” nella seconda parte, e infine il recente “4321”). In generale tutti i protagonisti dei suoi romanzi si interrogano su questi temi. 

Ma ci sono anche lavori dove emerge lo spirito Postmodernista di Auster, più caratterizzato dallo scetticismo verso le ideologie razionalizzanti di derivazione illuministica e dal loro potere di condizionamento sociale. 

L’opera teatrale con Stanlio e Ollio è una di queste, una delle prime, essendo del 1977. I due trionfatori e campioni di sfuggimento verso l’omologazione della società disciplinare grazie alla loro goffaggine che mette sempre tutto in burletta, vengono stavolta messi da Auster di fronte ad una difficoltà insormontabile. 

In quel paradiso non c’è pubblico davanti al quale fallire, non c’è normale da provare ad imitare, non c’è più alcun riferimento esterno. Ci sono solo le “istruzioni della giornata”. Ma nessuno gliele fornisce, quindi vuol dire che sono loro stessi a inventarle, a sottoporsi alla regola della prestazione. Se non c’è più un dover fare, il poter fare diventa dovere. L’adempimento diventa legge ineccepibile anche quando è insensato, anche quando non è richiesto da nessuno.

Forse per Auster, anche Stanlio e Ollio, campioni di libertà della loro epoca, nell’attuale Società della Prestazione si rassegnerebbero a lasciarsi omologare.

La vena pessimistica di Auster va considerata però in senso positivo, con un valore creativo. E’ infatti un contributo al risveglio del pensiero critico, disincantato quanto serve per permettere agli umani di uscire dagli incantesimi delle grandi utopie di onnipotenza costruite sull’idea di progresso infinito, di crescita inesauribile, di potere della ragione sulla natura e su ogni contraddizione umana. Un contributo importante.

Un saluto Paul! Vogliamo credere che insieme a Stanlio e Ollio vi state facendo un sacco di risate, alla faccia di tutte le “Istruzioni della giornata” che invece circolano qui, ancora oggi, sul pianeta Terra!

Buon Universo  tutti e …. Arrivedooorciiii !

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Written by: mind_master

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