Radio K55
Data di pubblicazione: 03/01/2024 alle 18:51
Buon anno terrestre a tutto l’Universo! Fa lo stesso anche se gli altri pianeti festeggiano albe differenti.
Al giro di boa, se volessimo fare il punto su cosa succede di importante su questo pianeta, dovremmo riflettere anzitutto il tema dello stato di salute mentale delle popolazioni terrestri.
Perché di quello fisico sappiamo tutto. Sappiamo che la medicina nell’ultimo secolo ha fatto grandi progressi e sappiamo che in tutto il pianeta la durata della vita, pur nelle rilevanti differenze locali, tende comunque ad aumentare considerevolmente.
Della salute mentale, per caso, ci siamo già dovuti occupare in quasi tutti gli articoli precedenti di Cronache Terrestri. Se capita di scrivere di cronaca prima o poi ti imbatti necessariamente nei paradossi, nelle assurdità, nelle estremizzazioni che derivano dalla curiosa psicologia dei terrestri di questi tempi.
Ma cos’è la salute mentale ? Un tempo sembrava un concetto chiaro. Il folle era facilmente individuato come colui che si staccava dal consesso civile degli umani per almeno due o tre importanti motivi: stranezza, malattia, miseria. Era un tempo in cui si distingueva in modo puntuale il divino dal demoniaco, il buono dal cattivo, il giusto dallo sbagliato, ma non si distingueva troppo tra salute mentale e fisica. Se eri malato eri già un po’ folle. Chi nasceva con qualche tipo di minorazione mentale o fisica finiva per fare parte di questa congrega dei folli. Anche solo se ti ammalavi nel corso dell’esistenza di quelle malattie antiche e inguaribili, tipo la lebbra, finivi per appartenervi comunque.
I folli non potevano partecipare attivamente alla promozione dei valori collettivi della società civile, ma non venivano espulsi. Erano solo posti ai margini e sopportati. Vittime sacrificali consegnate sull’altare della follia dell’esistenza e delle sue ingiustizie.
Un tempo, ma quale tempo ? Almeno fino all’alto Medioevo i folli, in un modo o nell’altro, erano integrati nella vita cittadina, come ci spiega il sociologo Michel Foucault nel suo famoso testo “Storia della follia nell’età classica”.
Poi qualcosa cambia, dal Rinascimento fino all’inizio della rivoluzione industriale accade qualcosa. La società civile attraversa un cambiamento che non la rende più capace di integrare il folle nelle sue propaggini, ma sente la necessità di escluderlo, oppure di confinarlo in un contesto riconoscibile e controllabile. Da questo tema nascerà il concetto di Istituto riservato ai folli: i Sanatori prima, i Manicomi poi.
Ma prima del confinamento c’è stata l’esclusione. C’è stato il desiderio di espellere i folli dalla vita cittadina. Qualcosa che in letteratura, e conseguentemente in pittura, nel momento di passaggio da un’epoca a un’altra, viene descritto con un’immagine: “la Nave dei Folli”. Uno strano battello pieno di soggetti ancor più strani naviga lungo il Reno e i canali Fiamminghi.
Nell’immagine del titolo del presente articolo, vedete la Stultifera Navis, l’opera di Hieronymus Bosch, pittore fiammingo, è del 1494. Rappresenta bene il senso di scollamento e di isolamento che quegli strani figuri portano, ognuno a loro modo, rispetto alla società civile. Leggiamo le parole di Foucault:
“…affidare il folle ai marinai significa evitare certamente che si aggiri senza meta sotto le mura della città, assicurarsi che andrà lontano, renderlo prigioniero della sua stessa partenza. Ma a tutto questo l’acqua aggiunge la massa oscura dei suoi valori particolari; essa porta via, ma fa ancor più: essa purifica”.
Ma purifica il folle dalla sua follia, oppure purifica la società dalla follia dei folli? Oggi sembrerebbe più adatta la seconda interpretazione.
L’iconografia moderna non è certo meno impressionante del dipinto di Bosch. Date un’occhiata al monumento ai migranti da poco situato nel mezzo della Piazza di San Pietro a Roma.
Qui il folle, o comunque reso folle dalla miseria e dalla guerra, naviga per provare a rientrare nella società civile, che però sembra essere sempre quella che, alla fine del medioevo, ha preferito la sua esclusione o almeno il suo confinamento.
I manicomi di oggi sono i centri di internamento libici, dove sappiamo le “cure” che vengono fornite. Oppure si chiamano CARA, centri di accoglienza per richiedenti asilo. Ma anche CIE, centri di identificazione ed espulsione.
Sentiamo Foucault cosa scriveva nel lontano 1961, quando ancora di gommoni in mezzo al Mediterraneo manco si immaginava l’esistenza : ”…e inoltre la navigazione abbandona l’uomo all’incertezza della sorte; là ognuno è affidato al suo destino, ogni imbarco è potenzialmente l’ultimo. E’ per l’altro mondo che parte il folle a bordo della sua folle navicella; è dall’altro mondo che arriva quando sbarca. Questa navigazione del pazzo è nello stesso tempo la separazione rigorosa e l’assoluto Passaggio. La sua esclusione deve racchiuderlo; se egli non può e non deve avere altra prigione che la “soglia” stessa, lo si trattiene sul luogo di passaggio. E’ posto all’interno dell’esterno e viceversa. Posizione altamente simbolica, che resterà senza dubbio sua fino ai nostri giorni, qualora si ammetta che ciò che fu un tempo la fortezza visibile dell’ordine è diventato ora il castello della nostra coscienza.”
Così scriveva Foucault. Parole profetiche. Questo “è trattenuto nel luogo di passaggio“ fa pensare a quei balletti di “voglio ma non posso” in cui navi delle ONG o delle Guardie Costiere si trovano a non poter intervenire di fronte a un probabile catastrofico naufragio, nel rispetto delle leggi che vigono. Risultato: 2.571 annegati nel Mediterraneo nel solo 2023, sulle Navi dei Folli moderne.
Insomma, a partire dall’era della rivoluzione industriale, essendo entrati nel periodo del relativismo culturale ed etico, si ribaltano le certezze rispetto all’epoca medioevale. Non si riesce più a distinguere con chiarezza il giusto dallo sbagliato, il buono dal cattivo, perché questi giudizi cambiano con la prospettiva che si sceglie per valutare i fatti. E così il mondo si divide in una pletora di interpretazioni. Ma all’opposto, le genti terrestri pretendono di distinguere con chiarezza il “folle” dal “sano”, aggrappandosi alle conoscenze scientifiche. L’incertezza sui valori porta a un desiderio di certezza sulla salute degli individui. L’imperativo categorico è identificare la follia secondo l’unico valore certo della contemporaneità: la produttività economica. Il Manuale dei Disturbi Mentali di riferimento, il DSM, di cui abbiamo già parlato nell’articolo “Piango d’immenso ma niente paura…”, per fare diagnosi di disturbo mentale usa spesso l’espressione “significativa compromissione nella sfera sociale, lavorativa o altra area di funzionamento”. Per l’evidenza della follia, in ultimo, è decisiva l’improduttività.
Non scordiamoci quelle altre acque dove oggi naufragano tanti altri tipi di folli. La navigazione di internet è forse più perigliosa del Mediterraneo stesso, per molti esponenti delle nuove generazioni.
Il folle di oggi si chiama “Hikikomori”, ovvero “stare in disparte”, dicono i giapponesi con i loro modi sempre rispettosi della persona altrui. “Isolamento sociale”, dice l’occidente, a cui piacciono le definizioni drammatiche e drammatizzanti.
La folle navicella è oggi la stanza da cui il giovane non esce più e si fa lasciare i pasti davanti alla porta. Il mare periglioso è il collegamento internet dove, guarda caso, si naviga tutto il giorno, per simulare di vivere comunque. Diceva Foucault non sapendo di centrare in modo perfetto anche la situazione dell’Hikikomori di oggi: E’ “posto all’interno dell’esterno e viceversa” oppure “viene reso prigioniero dalla sua stessa partenza” .
In Giappone i reclusi sociali sono 1,5 milioni, secondo il governo nipponico. In Italia, molto meno, si parla di circa 67mila giovani, ma le percentuali sono in aumento progressivo.
In questo caso non è però la società civile che esclude, come nel caso degli immigrati che farebbero di tutto per integrarsi in una nuova realtà. Ma è il giovane che si esclude da sé, per la troppa ansia di fallimento nell’adeguarsi a far parte della società civile. Nella follia del tempo presente la caratteristica più saliente è l’autoesclusione e l’autodistruzione. Un Hikikomori o un’anoressica, nella nave dei folli ci salgono da soli e per loro esclusiva iniziativa, fino al naufragio.
Ciò è in analogia con quanto sostiene il filosofo Byung-Chul Han nel suo libro “La società della stanchezza”. La società disciplinare di un tempo, quella che sanzionava chi non produceva, è stata sostituita dalla “Società della prestazione” quella che: “L’eccesso di lavoro e di prestazione aumenta fino all’autosfruttamento… Lo sfruttatore è al tempo stesso lo sfruttato. Vittima e carnefice non sono più distinguibili. Questo carattere autoreferenziale genera una libertà paradossale … Le malattie psichiche della società della prestazione sono appunto le manifestazioni patologiche di questa libertà paradossale”.
Ovvero, le crisi d’ansia provate dalle nuove generazioni nel momento in cui devono entrare nella società della prestazione trasformano anche la malattia in qualcosa di autoinflitto, di autoreferenziale.
Il 10 Ottobre scorso, giornata mondiale dedicata alla Salute Mentale, la rivista online DoppioZero ha pubblicato un’intervista ponendo proprio questa domanda a diversi psicoanalisti e psichiatri. Qui l’articolo intero: https://www.doppiozero.com/che-cosa-e-la-salute-mentale. E di seguito riporto alcuni brani interessanti.
Romano Madera, filosofo psicoanalista:
“La salute mentale finta è l’ideologia interiorizzata della follia sociale che è norma del nostro mondo: si chiama “normalità a tutti i costi” e cerca di nascondere l’orrore dello “stato di cose presente”.
Massimo Recalcati. Psicoanalista lacaniano:
“Di fatto è questa, paradossalmente, una definizione possibile della malattia mentale: credersi un sano di mente. È il caso clinico assente dalle griglie del DSM V. Il vero folle è l’uomo iperadattato, colui che pretende di separare la malattia dalla soggettività, che crede, in altre parole, di essere normale. Ne deriva, a rovescio, che una versione positiva della salute mentale non coincide affatto con la realizzazione dell’ideale normativo di una vita senza sintomi. Piuttosto il sano di mente assume l’impossibilità di quell’ideale poiché i suoi sintomi non sono anomalie da normalizzare, ma coincidono con il suo stesso essere”.
Vittorio Lingiardi. Psichiatra e psicoanalista:
“Me ne occupo da quarant’anni e non lo so. Trovo un po’ rischioso affermare di saperlo. Ne attraverso i territori e posso dire di conoscere, perché nell’ascolto clinico mi ci soffermo sempre, le zone di confine – una linea, un campo – tra l’esperienza psicologica e quella psicopatologica. La definizione di salute dell’OMS non è del tutto convincente: “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità”. Io penso ci possa essere salute mentale anche in presenza di sofferenza. La salute mentale per me è più simile a una forma di consapevolezza di sé, delle proprie fragilità e delle proprie risorse”.
Nicole Janigro Psicoanalista junghiana:
“La sofferenza psichica ha radici sistemiche: depressione, rabbia, espressioni incontrollabili di violenza stanno diventando tratti caratteristici della società contemporanea. La salute mentale del singolo non può dissociarsi da un progetto collettivo di umanizzazione per ritrovare il senso dell’esistenza di ognuno nella relazione con l’Altro”.
Quindi, il concetto di salute mentale in uso si confonde con il concetto di norma, di ciò che è normale e ciò che non lo è.
“Dio è morto”, scriveva Nietzsche. “Dio è morto” cantava Guccini. Siamo nell’epoca in cui non è morta la fede, ma l’esperienza collettiva del divino, nel senso del riconoscersi collettività anche grazie a un sentimento condiviso di appartenenza a un supposto ordine superiore. Esperienza rimpiazzata dalla fede nella scienza e nella conoscenza.
In questo modo il concetto di salute è diventato un costrutto del tutto individuale e individualistico. Di più, vista l’enfasi che viene data alla salute e al benessere nel profilo ideale di efficienza e successo, si potrebbe dire che è un costrutto narcisistico. Sempre Nietzsche diceva che dopo la morte di Dio la salute è innalzata a divinità.
Ma in ogni individualismo dell’età moderna si annida una quota di malessere, incompatibile con qualsiasi concetto di salute mentale. Perché ogni esasperazione individualistica, nel tempo, produce spontaneamente paranoia e disperazione depressiva.
Per avere una definizione al passo con i tempi nuovi che incalzano, la salute mentale è ciò che si può sperimentare solo all’interno di un benessere psicologico sufficientemente distribuito e diffuso con i propri simili. Magari in modi e quantità diverse, ma sostanzialmente accessibile a tutti i membri delle micro e macro collettività di cui si fa parte.
Non si può credere di essere completamente sani se, al di fuori della propria strettissima cerchia di riferimento, si vive in mezzo ai sofferenti, ai traumatizzati, agli alienati. Si finirebbe come i marinai di una Stultifera Navis. Una navicella folle che mette insieme il simile con il simile, e apparentemente si salva, salpando. Ma invece procede alla deriva, rischiando il naufragio a ogni onda.
Questa è la vera novità che sta emergendo all’alba del 2024.
Buon Universo a Tutti.
Written by: mind_master
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