Radio K55
Data di pubblicazione: 07/05/2023 alle 21:44
A proposito della sensazione di essere i più soli al mondo, come dice la canzone dei Maneskin citata nel titolo, in questa settimana il quotidiano La Repubblica riporta una notizia che si aggancia ad un altro articolo del 24 Aprile scorso sempre sullo stesso quotidiano.
L’articolo di questa settimana è scritto da Vittorio Lingiardi, psichiatra, psicoanalista e docente universitario molto noto e apprezzato, mentre quello di Aprile è scritto da Eugenia Nicolosi, scrittrice e giornalista.
Il titolo di quest’ultimo riporta:
La solitudine di chi sacrifica i rapporti nel nome della salute mentale
L’articolo parla di una nuova moda che circola sotto l’hashtag #protectyourpeace “proteggi la tua pace” (attualmente ha oltre 150 milioni di visualizzazioni su TikTok) e che incoraggia le persone, soprattutto gli adolescenti, a stare lontani gli uni dagli altri.
“È una cultura del “taglio” che spinge verso il completo isolamento per “concentrarsi su se stessi” e al massimo lavorare, postare un video in cui mangiano insalata o allenarsi. L’obiettivo è quello di chiudersi a qualsiasi interazione o influenza esterna che potrebbe distrarre dal cosiddetto auto-miglioramento – ovvero, palestra, alimentazione sana, auto analisi, crescita personale”
La motivazione è che, siccome il mondo è pieno di “vampiri energetici”, tossici o narcisi che siano, per non farsi vampirizzare l’unica soluzione è isolarsi e coltivare se stessi.
Ma l’isolarsi corrisponde al non voler o saper confrontarsi con una società complessa fatta di persone complesse che hanno lati positivi e lati negativi, continua Nicolosi, e quindi, dietro l’apparente buona intenzione di proteggere la propria salute mentale, l’Hashtag in questione contrabbanda una pseudo-soluzione che invece mette gravemente in pericolo la stessa salute mentale che pretenderebbe di proteggere.
E in un sistema come quello in cui viviamo, capitalista, che incoraggia l’individualismo e l’iperconsumo e spinge le persone a diventare ingranaggi della sua grande macchina, privandole di contatti sociali e scoraggiando le interazioni – pensiamo anche solo a come è costruita la scuola – non è pericoloso isolarsi?
Nelle conclusioni si citano alcuni dati statistici che vedrebbero l’Italia al quinto posto nel mondo tra i paesi dove i cittadini sperimentano solitudine e isolamento.
L’articolo di Vittorio Lingiardi prende lo spunto dalle parole della massima autorità sanitaria statunitense, Vivek Murthy, il quale ha dichiarato che negli Stati Uniti, ma forse nel mondo, è in corso “un’epidemia di solitudine”. Non un virus, questa volta, ma una condizione psichica e sociale. In seguito alla diffusione della condizione di vita da single, (ed agli stili di vita che premiano l’autonomia da ogni forma di legame aggiungerebbe Nicolosi) circa la metà degli americani adulti vive nella condizione psichica che lui denuncia. Dall’articolo di Lingiardi, leggiamo che nella sua relazione di circa 80 pagine, Murthy riferisce che le ricerche dimostrano che solitudine e isolamento innescano molteplici problemi di salute al confine corpo-mente. Insonnia, alterazioni immunitarie, patologie cardiache, alimentari, algiche e ovviamente ansia, depressione, dipendenze da alcol e sostanze. Tanto che alcuni esperti stimano che il rischio di morte prematura può aumentare del 30%. “La solitudine”, ha detto Murthy, “è come la fame o la sete. Una sensazione che il corpo ci invia quando qualcosa di cui abbiamo bisogno per la sopravvivenza viene a mancare. Ecco il motivo per cui ho lanciato l’allarme”.
Sono interessanti le considerazioni che Lingiardi fa a commento delle parole di Murthy in conclusione del suo articolo : “Appena letta la notizia dell’appello di Murthy, ho pensato, pessimisticamente, che l’allarme è più che giustificato, ma la casa ormai è in fiamme. … Per sfidare l’epidemia di solitudine, alla sensibilità di un appello devono seguire soldi e azioni. Azioni dettate da una visione del mondo.”.
Sviluppando questo commento si può aggiungere che per avere una visione del mondo non basta mettere soldi ma occorre comprendere quali sono e come si formano le linee culturali dominanti che portano a questo genere di scelte. Perché accade che le relazioni affettive stabili sono percepite come legami che costituiscono una minaccia per la libertà personale, come evidenzia bene l’articolo della Nicolosi? Al punto da liberarsi in partenza dello sforzo, pur laborioso, di costruire le condizioni che permettano una relazione stabile con un altro essere umano. Al punto da rinunciare all’importante scelta di condividere un presente, una quotidianità, e di progettare un futuro con tutte le potenzialità annesse, con qualcuno che non sia il solito “pet” da appartamento, gatto o cane o pescirossi che siano. Lo stile di vita single più in voga, infatti, sta facendo la fortuna di queste categorie di organismi viventi perché con loro devi negoziare poco o nulla. E quando anche quel poco non è negoziabile, magari per un viaggio, viene in soccorso il mercato, con l’offerta di pensioni, affinché in questo moderno nucleo familiare si possa ”sistemare” temporaneamente l’unica forma di vita cui è permesso fare qualche raro rumore in casa, l’unica sopportabile, in quanto non dice mai la sua. E magari le pensioni manco gli piacciono.
Quali sono le categorie di successo e felicità dominanti che in questo momento portano le persone a perseguire questi modelli di (non) convivenza sociale? Quali sono le fantasie che evocano immagini di ergastoli tipo 41bis associati alla relazione di coppia, con possibili figli annessi ? In un’epoca, poi, dove tutto si può smontare perché nulla è più totalmente irreversibile, neanche l’età avanzata, come dimostra lo stile di vita dei giovani sessantenni ?
Entrambi gli articoli di oggi lanciano spunti per riflettere sul fatto che le condizioni di convivenza nella contemporaneità sono attraversate da qualcosa di più grande di una semplice moda. Qualcosa che ci riporta al tema di cui abbiamo cominciato ad accennare negli scorsi articoli, quello di una rivoluzione antropologica in corso di cui non distinguiamo ancora i contorni. Perché sconvolge dal profondo ogni riferimento valoriale di ciò che l’Umanità ha costruito nei millenni scorsi, rendendo instabili le basi stesse su cui appoggia il sentimento di esistere anche “per” il sociale oltre che per noi stessi. Colmo dei colmi nell’epoca dei social. Ovvero, di poter fare esperienza anche di essere un “noi”, oltre che un io.
Queste riflessioni non sono da intendersi come un rimpianto dei tempi passati. Vale sempre quanto cantava Bob Dylan giusto sessant’anni fa in “The Times They Are a-Changin’”.
«Venite madri e padri
Da tutto il Paese
E non criticate
Ciò che non capite
I vostri figli e figlie
Non sono ai vostri ordini
Il vostro antico percorso
Rapidamente decade.
Gentilmente levatevi dal nuovo
Se non potete aiutare
‘Ché i tempi stanno cambiando.»
Però con una differenza rispetto a quanto accade oggi. Se allora appariva ancora condivisibile che il patto tra le generazioni assegnasse alle nuove il compito di osare il cambiamento, oggi le cose sono più incerte.
Perché fatta qualche eccezione, da Logan (di cui abbiamo parlato nell’articolo “Se telefonando”) a Greta Thunberg, le vecchie generazioni sembra abbiano avuto successo nell’ipnotizzare le nuove, rendendole le migliori utenti delle tecnologie che hanno pensato e messo a punto proprio per loro.
Almeno fino ad oggi. Ma aspettiamo, perché in fondo siamo solo all’inizio di questa rivoluzione del modo di essere un essere umano e tutto può ancora accadere.
Buon Universo a tutti.
Written by: mind_master
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