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    Radio K55

Psicologia

Vicissitudini dell’analfabeto italico

today15/12/2024 - 22:47 13

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Data di pubblicazione: 15/12/2024 alle 22:47

Vicissitudini dell’analfabeto italico

Nel corso dell’anno che sta per concludersi, a partire dalle notizie di cronaca, i nostri articoli si sono trovati in numerose occasioni a occuparsi dei problemi giovanili. Comportamenti autodistruttivi e delinquenziali, dipendenze, conflitti scolastici, conflitti di genere, un diffuso disagio esistenziale, e via dicendo.

Nell’articolo “Chi sta uccidendo i nostri giovani” abbiamo citato un dibattito televisivo dedicato all’argomento. In particolare si commentava l’impatto che la diffusione dei supporti e dei servizi tecnologici ha avuto sulle abitudini di comportamento e di comunicazione delle nuove generazioni.

Con l’occasione abbiamo potuto considerare che, se il mondo adulto può agire in qualche modo per ridurre queste manifestazioni di malessere, il luogo del contatto preferenziale è ancora la Scuola, e in particolare il ciclo scolastico superiore, per ovvi motivi.

E’ qui che si incontrano due culture, quella giovanile e quella adulta.

Un incontro mancato

Tanto più i costumi cambiano velocemente tanto più le nuove generazioni non possono accogliere le proposte delle vecchie che andavano bene quando loro erano giovani. E’ un fatto costitutivo che diventa tanto più evidente e anche tanto più drammatico, quanto più i cambiamenti dei valori di convivenza si sommano, si sovrappongono e si concentrano in un ristretto lasso di tempo storico dell’evoluzione delle umane genti.

Attualmente, la scuola è diventata spesso il luogo dove l’incontro non avviene e ognuna delle due generazioni ritorna alle certezze della propria zona di comfort svalutando i punti di forza dell’altra.

Abbiamo concluso il suddetto articolo sostenendo che, se si vuole veramente occuparsi del disagio giovanile, occorrerebbe investire molto di più nella Scuola. Altrimenti i soldi che non vengono spesi per realizzare questo incontro vengono cacciati dopo, nel servizio sanitario e in quello giudiziario. Per intervenire a posteriori sulle conseguenze di questi disagi, ma quando ormai i buoi sono scappati e il potenziale di sviluppo di un’intelligenza giovanile è stato danneggiato, spesso in modo non rimediabile.

Analfabeta a chi !?

Nella scorsa settimana è apparsa una notizia che riguarda il periodo di formazione scolastico. E’ una parola desueta, l’analfabetismo. Quello tradizionale in Italia si racconta citando sempre il dopoguerra. Nel 1946 il 13% della popolazione italiana era analfabeta, ovvero incapace di leggere e scrivere. Oggi, grazie alle riforme dell’Istruzione e alle campagne di alfabetizzazione è inferiore all’uno per cento.

Eppure di analfabetismo ancora si parla per intendere una condizione nella quale il soggetto, pur avendo ricevuto una corretta istruzione e scolarizzazione, non è capace di svolgere alcune funzioni cognitive di base per essere pienamente inserito nel funzionamento di una società moderna e per continuare ad apprendere anche dopo la fine del periodo scolastico. Si tratta dell’Analfabetismo funzionale.

Chi soffre di analfabetismo funzionale ha problemi nella comprensione adeguata di testi scritti, nella risoluzione di calcoli matematici semplici, nell’uso di strumenti informatici e nella conoscenza degli eventi storici, politici, scientifici, sociali ed economici.

La notizia che tratteremo oggi deriva dalle rilevazioni condotte dall’OCSE. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ha il compito di studiare lo sviluppo economico in 36 nazioni di tutti i continenti che hanno in comune un’economia di mercato. Dalla più recente indagine del 2023, circa le competenze della popolazione adulta in 31 dei 36 paesi membri, è emerso che l’Italia è arrivata terzultima, davanti ai soli Cile e Turchia. E’ infatti risultato che quasi il 30% della popolazione italiana compresa tra i 16 e i 65 anni è di fatto analfabeta funzionale.

Disperso a chi !?

Terzultima tra le nazioni europee risultava l’Italia nel 2022 anche nell’indice di dispersione scolastica. Ovvero l’abbandono del percorso di studi in età giovanile con il solo diploma di scuola media.

Il tasso di dispersione era del 11,5% nel 2022, migliore solo di Romania e Spagna. Ma sembra che nel 2024, secondo il Ministro dell’Istruzione Valditara stia intorno al 9,6%. Questa percentuale centra in pieno gli obiettivi che il governo italiano si è impegnato a conseguire per ottenere dalla UE i fondi relativi. Occorre però interpretare questi dati.

L’Italia riceve la quota più alta dei fondi europei (circa 191,5 miliardi di euro), ed è quindi sotto stretta osservazione per la complessità del suo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Se i risultati promessi nel PNRR non vengono centrati, l’Unione Europea non prevede multe, ma può sospendere, ridurre o revocare l’erogazione dei fondi per le tranche future.

Possiamo concludere che questi miglioramenti del tasso di dispersione sono obbligatori se si vuole continuare a ricevere fondi dalla UE.

Ripetente a chi !?

L’abbandono scolastico in adolescenza di solito interviene in coincidenza con la prima bocciatura, che nei casi peggiori viene intesa dal ragazzo come l’evidenza che la scuola non è per lui.

Quindi parte del miglioramento nel tasso dei diplomati maturi vantato dal ministro Valditara è probabilmente anche in relazione alla vertiginosa crescita degli Istituti privati per il recupero degli anni scolastici. Ovvero, la prospettiva di diplomarsi facendo anche due anni in uno che questi istituti presentano senza troppe difficoltà. Questi ragazzi, valutati insufficienti l’anno prima, diventano improvvisamente dei geni concentrando in un anno l’apprendimento del programma di due anni. Lo stesso Stato che li aveva fermati attraverso la scuola statale li considera di colpo migliori dei loro vecchi compagni grazie alla scuola di recupero.

L’importanza di questa scorciatoia che porta vantaggi a tutti, si vede dal fatto che negli anni duemila le scuole di recupero erano poche decine, generalmente destinate a lavoratori studenti, quindi di tipo serale. A oggi, ci sono reti di Scuole per il recupero di anni scolastici che includono fino a 250 Istituti su tutto il Territorio nazionale. Si tratta di RecuperoAnniScolastici.com, Grandi Scuole e L’Istituto Europeo di Milano, ai cui siti web potete vedere la ricca offerta di corsi personalizzati, in presenza e online, per andare a cogliere l’agognato diploma di maturità.

Insomma, sta diventando comune che tra i ragazzi che non ce la fanno a seguire i corsi di un liceo statale si possa così concludere il ciclo di studi superiore. Ma a diventare meritevoli sono solo quelli la cui famiglia ha i soldi per pagarsi la scuola di recupero. In barba al fatto che la nuova dizione del Ministero è “dell’Istruzione e del Merito”. Ma il merito formativo è un concetto complesso che si presta ad ambiguità, ci torniamo fra poco.

Non inclusivo a chi !?

Questo fatto di per sé è poco inclusivo perché contraddice uno degli assunti della scuola pubblica, ovvero il diritto agli studi per tutti. Un diritto che c’è per tutti, certamente, ma per chi ha soldi, è ancora un po’ di più.

Inoltre, in questo modo, con il diploma che mette fine a tutto, rimane nascosto alla vista il complesso problema di tutti quei ragazzi che non ce la fanno a seguire i corsi scolastici. Un problema che non può essere addebitato esclusivamente alle caratteristiche difettose del singolo quando i numeri sopra citati si avvicinano a un terzo della popolazione studente.

Facciamo due conti. Dispersione scolastica al 11% significa uno studente su 10 lascia. Il 30% degli analfabeti funzionali significa che degli altri nove che si diplomano tra 2 e 3 di loro non dovevano diplomarsi senza prima fare interventi più specifici sulle loro difficoltà. Infatti, una volta finita l’età della formazione la condizione di analfabetismo funzionale diventa irreversibile trasformandosi in un problema e un costo per l’intera nazione.

La correlazione tra criminalità e analfabetismo funzionale è ben nota a criminologi e sociologi: solo nei primi anni 2000 è stato stimato che il 60% degli adulti nelle carceri degli Stati Uniti fosse funzionalmente o completamente analfabeta, e che l’85% dei delinquenti minorenni avesse problemi riguardanti la lettura, la scrittura e la matematica elementare.

Gli analfabeti funzionali sembrano essere poco dotati nella capacità di riconoscere le informazioni fondate e quelle false o distorte. Tendono a credere a notizie false e aiutare la loro diffusione. In un epoca dove chiunque può pubblicare facilmente informazioni che possono raggiungere milioni di persone in un click, il problema sta assumendo dimensioni importanti. Pensiamo ora alla disinformazione legata ai temi medico sanitari e alle conseguenze.

Secchione a chi !?

Torniamo al concetto di merito. All’osservazione psicologica negli spazi di psicoterapia tendono a presentarsi alcune situazioni del tutto paradossali dal punto di vista di come viene premiato il merito. Il profilo psicopatologico di chi entra nelle stanze di un terapeuta richiede esser riflettuto.

Si presentano, infatti, molti giovani adulti depressi che sono stati valutati con pieno merito durante la carriera scolastica. Ma, una volta compiuto tutto l’iter per raggiungere un posto in società, si sono accorti che loro non ci sono in quel che hanno raggiunto. Perché, il loro strenuo inseguimento delle conferme di merito, li ha esposti a perdere contatto con il nucleo originario dei desideri più intimi e personali che ogni vivente porta con sé.

“Falso sé” lo chiamava il pediatra e psicoanalista Donald Winnicott per indicare quando la vita diventa una recita, in cui il soggetto si conforma alle richieste dell’ambiente, ma vive una profonda alienazione interna.

“Alienazione simbolica” lo chiamava Jacques Lacan, per indicare come il desiderio individuale sia sempre mediato dalle aspettative, dalle richieste e dai significati sociali.

“Adattamento liquido” lo chiamava il sociologo Zygmunt Bauman in un era post-moderna di una società liquida, dove l’identità non è più stabile o definita, ma viene plasmata dalle pressioni esterne e dalle aspettative del mercato e della società.

Nell’ultimo articolo abbiamo citato il caso di Filippo Turetta per indicare come il conformarsi a un’ideale di sé meritevole secondo le migliori aspettative di inserimento professionale, come studente di Ingegneria Biomedica all’Università di Padova, può anche accompagnarsi a un profondo malessere personale e a una profonda immaturità emotiva, in netto contrasto con l’etichetta di maturo decisa dall’iter scolastico che ha seguito la persona per 14 lunghi anni della sua età evolutiva.

Quando si parla di merito gli umani hanno chiaro quello che si intende ? forse no.

Somaro a chi !?

Un altro fenomeno recente è l’esplosione di alcuni disturbi neuroevolutivi inseriti nella definizione di Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Ovvero Dislessia, Disortografia, Discalculia, Disgrafia.

Per la prima volta nel 2010, con la Legge 170 si è riconosciuto ufficialmente l’esistenza del DSA promuovendo misure educative specifiche. Nel 2010 gli studenti con diagnosi di DSA rappresentavano circa lo 0,9% della popolazione studentesca. Nel 2021 la percentuale è salita al 5,4%. Questo aumento può essere causato solo dalle maggiori competenze nel diagnosticare il problema, ovviamente. Oppure, possiamo considerare quanto affermava già nel 1997 il politologo Giovanni Sartori: l’umanità sta passando dalla condizione di Homo sapiens, caratterizzata dalla capacità di pensiero astratto e razionale basato sul linguaggio scritto e parlato, a quella di Homo videns, dominata dalle immagini visive. Questo cambiamento comporta una regressione dal pensiero critico al “post-pensiero”, in cui la capacità di analisi e ragionamento è ridotta. Il rischio però, è quello di farsi trascinare sempre dall’idea che la tecnologia sia solamente negativa e non che si richieda invece una comprensione dei limiti con cui impiegarla per farla diventare positiva, così come già è avvenuto in tante svolte dell’evoluzione umana.

Inoltre, la scuola elementare di oggi è molto diversa da quella di 60 anni fa dove si richiedeva sostanzialmente che il bambino in quinta elementare sapesse soltanto leggere, scrivere in bella calligrafia e fare alcuni calcoli di base.

Per raggiungere questi obiettivi si passavano almeno 6 mesi in prima elementare a fare le aste per allenare la mano e la coordinazione occhio-mano, fondamentali per acquisire fluidità nella scrittura. La scrittura in corsivo è ancora oggi, dagli psicologi, considerata una competenza fondamentale anche per allenare la capacità di organizzare la propria attività mentale.

La scuola elementare di oggi richiede molti altri apprendimenti di base oltre lettura e scrittura. Lingue straniere, tecnologia, consapevolezza ambientale, competenze sociali, e altro ancora. Inoltre, i bambini di oggi sono molto più stimolati da strumenti che vengono forniti loro già dalla scuola materna e molti di loro arrivano in prima elementare che già sanno leggere e scrivere anche se rudimentalmente. Per non frenare i soggetti più competenti, il tempo dedicato all’apprendimento della scrittura è drasticamente diminuito con perdita di capacità anche nella lettura e nella capacità di organizzare i propri spazi di lavoro.

L’aumento della competizione negli standard formativi delle società più tecnologiche degli ultimi decenni si è trasferito inevitabilmente anche sul ciclo di scuola elementare che forse risulta essere diventato così meno rispettoso delle differenze tra bambini e pertanto meno inclusivo. Quei soggetti che hanno bisogno di tempi lunghi per raggiungere una facilità di lettura e scrittura si trovano svantaggiati e per loro si ricorre alla definizione di deficit neurologico, e quindi di disturbo, con molta più facilità, basandosi non su una qualche reale prova neurologica, ma solo sul peggiore tempo di risposta ad alcuni stimoli rispetto alla media.


Ecco come si costruisce l’idea di disturbo associata a prestazioni di velocità, ovvero all’accelerazione della vita moderna. A questo proposito segnalo il testo del sociologo Hartmut Rosa dal titolo “Accelerazione e alienazione”.

Plusdotato a chi !?

Ci sono degli studenti che pur se definiti ad alto potenziale cognitivo, ovvero intelligenza brillante, possono incontrare serie difficoltà nella scuola tradizionale.

Si parla di “sindrome del talento incompreso” quando la forte motivazione esplorativa di questi soggetti viene frustrata da una proposta di conoscenza recepita da loro come schematica e ripetitiva. Il risultato è noia e alienazione, che si trasformano in problemi comportamentali, cui seguono conflitti con insegnanti e compagni.

Nel 2018, anche in Italia si è posto il problema della plusdotazione grazie all’istituzione di un tavolo tecnico con l’obiettivo di redigere le Linee Guida Nazionali per gli studenti plusdotati. In ritardo comunque su tanti altri paesi come USA, Canada, Germania, Paesi Bassi che già dispongono di scuole esclusivamente dedicate a questo tipo di studenti da diversi anni.

In Italia, si parla di una popolazione studentesca che può arrivare anche al 8% a fronte di 95 scuole non dedicate ma solo certificate nel trattamento della plusdotazione. Una certificazione ottenuta per libera scelta, dagli istituti o dagli insegnanti che hanno frequentato corsi sul tema. Ma non vi è alcun obbligo legislativo a riguardo e quindi è probabile che nelle altre scuole molti di questi studenti non siano riconosciuti scambiando la diagnosi dei loro problemi per DSA oppure per ADHD.

Ignorante ok, ma chi ignora chi !?

L’emersione recente del fenomeno della Plusdotazione suggerisce che occorre fare riflessioni di più ampio respiro su come stanno cambiando le nuove generazioni da un punto di vista di interessi e di potenziale cognitivo. I plusdotati potrebbero essere solo le avanguardie di un’evoluzione più generale delle intelligenze dei terrestri. E’ probabile che dal punto di vista della pura intelligenza creativa questi figli della modernità siano molto ben attrezzati. Forse, proprio loro sono meglio attrezzati per difendersi da quelle patologie che abbiamo sopra citato come Falso sé, Alienazione simbolica o Adattamento liquido.

Ma per far sì che la scuola venga percepita come il luogo dove questa intelligenza può dispiegarsi, svilupparsi ed essere riconosciuta e premiata, ci sono almeno tre ostacoli di cui abbiamo più volte parlato nei precedenti articoli.

Il primo, è costituito dalla giostra consumistica in cui sono immerse vecchie e nuove generazioni. Una giostra che toglie forza alle spinte creative di molti ragazzi, soprattutto dei più vulnerabili, irretendoli in una dimensione di eterno godimento infantile. Ma se il mondo adulto ha individuato nei giovani uno dei mercati più promettenti immergendoli fino al collo nel meglio della produzione dell’effimero, ciò dovrebbe far riflettere gli adulti per primi.

Il secondo, dal fatto che le famiglie hanno via via abdicato al ruolo di educatrici e formatrici circa le regole di appartenenza civile demandando questo compito quasi esclusivamente alle istituzioni scolastiche. Come abbiamo più volte rilevato l’interpretazione del ruolo genitoriale moderna è generalmente cambiata facendo del genitore il miglior amico del figlio, in modo improprio.

Poliziotto a chi !?

Ultimo problema, è che se la scuola deve fare da Poliziotto Cattivo non ha gli strumenti reali per farlo. Ma soprattutto, porsi come poliziotto fa sì che vi sia una totale caduta di interesse verso le proposte di conoscenza della generazione adulta. Come abbiamo sostenuto nell’articolo “Chi sta uccidendo i nostri giovani” si devono trovare nuove forme di relazione rispetto alla vecchia lezione frontale. Ovvero, uno schema dove le giovani menti devono farsi contenitori della sapienza delle vecchie generazioni. In quell’articolo abbiamo citato il “cooperative learning” ma ci sono tanti modi per togliersi l’abito da poliziotti che calava così bene all’inizio del secolo scorso.

A roma il liceo Morgagni per trattare la plusdotazione ha classi dove il numero degli studenti è contenuto, i voti non esistono e i compiti in classe vengono svolti in gruppi, suddivisi per livello.

Diventare i facilitatori tra il mondo e la curiosità giovanile è l’unico ruolo possibile perché la Scuola diventi un’occasione di fertile incontro tra culture diverse. E questa condizione diventa la migliore protezione dal malessere giovanile che tanto riempie di sé la cronaca di cui ci occupiamo.

Buon Universo a Tutti !

Written by: mind_master

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